Una crisi senza precedenti, un’emergenza sanitaria che probabilmente lascerà delle cicatrici profonde nelle nostre vite e nell’immaginario delle generazioni che l’hanno vissuta. Da momenti difficili come questi potremo però trarne insegnamenti di vita straordinari e non solo. Al tempo del Coronavirus tutto è mutato: la socialità, le abitudini, i consumi, il nostro rapporto con il lavoro e con le tecnologie.
In un contesto di “clausura” come quello che viviamo oggi, in cui (quasi) tutto chiude, la Comunicazione – quella del Governo, della politica, delle aziende, quella espressione della comunità – non si ferma, anzi si evolve, si adatta alla crisi, cambia. Soprattutto cambia tono. Al silenzio delle strade si contrappongono dunque le mille voci di uno scenario comunicativo multiforme frutto delle reazioni a quella che già molti hanno definito la prima pandemia nell’era della disintermediazione.
Verità e falsità si confondono infatti sotto una pioggia di informazioni difficili da verificare, fake news si diffondono come virus ‒ secondo veri e propri schemi epidemiologici ‒ su web, social media e catene di messaggi su WhatsApp, determinando psicosi e situazioni di grande criticità. È questo il contesto in cui la comunicazione istituzionale, quella politica e delle imprese prende corpo, non senza errori ma anche con molte intuizioni interessanti.
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