Democrazia Partecipativa

E’ giunto il tempo in cui i cittadini inizino ad auto governarsi. I girotondini, gli indignati e tutti quei gruppi, movimenti e associazioni che in questi ultimi 20 anni hanno tentato inutilmente di manifestare il loro dissenso inizino ad operarsi fattivamente al cambiamento in positivo la nostra società.

Le politiche economiche attuate dai nostri governi, dagli anni ’90 ad oggi, impreparati a comprendere quale impatto avrebbe avuto questa forma “liberista” di globalizzazione, sono state un continuo impedimento al naturale sviluppo dell’economia privata e pubblica, creando di fatto i presupposti per una brutta fase di recessione che ha praticamente trasformato il mondo del lavoro e ridotto i “diritti sociali”, dimezzandone di fatto, oltre 50%, il reale potere d’acquisto.

I governi che si sono nel tempo susseguiti, hanno sempre applicato sulle attività commerciali ed imprenditoriali, un’ infinità di tasse, queste sono state, concausa di tante cessazioni di attività anticipate; tassare è giusto! ma deve essere una tassazione equa, che rispetti gli individui ed il loro contesto sociale, per questo è quindi necessario ed urgente rivedere il nostro sistema fiscale, perchè così come è attuato è una strozzatura del sistema produttivo, che avvantaggia solo i grandi capitali e non permette a piccole e medie imprese, piccoli imprenditori e ditte individuali di operare in un onesto e libero mercato.

Per fare questo, bisogna rivedere il funzionamento del nostro attuale sistema politico, sociale e culturale; è necessario quindi che la gente, attraverso il voto, possa esprimere in tutta tranquillità e chiarezza la preferenza del partito o della coalizione di riferimento e di tutti i suoi esponenti che li compongono, come teoricamente la nostra “Costituzione ” ci garantisce, per poter liberamente costituire un Parlamento realmente rappresentativo del volere popolare e che operi nell’interesse del bene comune.

La partecipazione politica si è ridotta a un fatto effimero, ci si organizza per le competizioni elettorali e poi si scompare.

È in atto, da anni ormai, una netta virata del sistema politico italiano verso il modello americano, ovvero grandi macchine di organizzazione del consenso che si mettono in moto per le elezioni e funzionano come grandi “imprese” del voto: orientano le proprie scelte politiche sui sondaggi, puntano tutto sulla comunicazione, intercettano l’interesse e il consenso dell’elettore utilizzando le più moderne tecniche commerciali. In altre parole, vendono prodotti.

La politica, in questo modo, smette di essere lo spazio del confronto tra diverse idee di società e modelli di sviluppo, per diventare un supermercato dove la proposta politico-commerciale è il risultato di precisi calcoli di convenienza nella raccolta del consenso.

Questo fenomeno si accompagna a quello della personalizzazione della politica: si punta tutto su leader mediatici, su comunicatori in grado di vendere meglio il prodotto. Spariscono del tutto le figure intermedie.

Dovremmo, in altre parole, caratterizzare un rilancio di partiti, sindacati e associazioni di categoria, diventati troppo spesso spazi autoreferenziali, privi di democrazia sostanziale.

Non è detto tuttavia, che questo stato di crisi della democrazia sia necessariamente un male.

I momenti di crisi possono essere anche delle grandi opportunità per produrre cambiamenti, sono i momenti ideali per innovare.

A patto, chiaramente, di saper cogliere gli elementi determinanti della crisi e saper cambiare la rotta scegliendo nuove strade. In questo contesto, la frontiera che potrebbe salvarci è quella della democrazia partecipativa, pensata come un sistema articolato di comitati spontanei assemblee, raccolta di proposte, istanze e votazioni che metta i cittadini nelle condizioni non solo di scegliere, decidere e riappropriarsi di pezzi di sovranità ma anche di crescere insieme come democrazia, di approfondire, di confrontarsi.

Tutto questo, chiaramente, non può avvenire attraverso un sondaggio on line, se non con molti limiti. Le tecniche della democrazia partecipativa dovrebbero diventare innanzitutto un patrimonio di ciò che resta delle figure intermedie, per dare senso e sostanza.

Dovremmo, in altre parole, caratterizzare un rilancio di partiti, sindacati e associazioni di categoria, diventati troppo spesso spazi autoreferenziali, privi di democrazia sostanziale. E poi, chiaramente, la democrazia partecipativa va sperimentata a livello territoriale, nella vita delle comunità locali.

Suggeriamo la costituzione di comitati spontanei di quartiere per affrontare i punti programmatici da proporre a livello comunale e non, fondamentali per un vero cambiamento radicale della nostra comunità.

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