patti di collaborazione

Fonte: Labsus

I regolamenti comunali volti a declinare questa innovativa funzione amministrativa, avente ad oggetto la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, sono il prodotto della “forza normativa della realtà”. La micro-rigenerazione nasce, infatti, quale fenomeno che sfida la legalità “formale”, sulla base di pratiche collettive d’uso volte alla riappropriazione di spazi o edifici abbandonati, in assenza di formale riconoscimento da parte dell’Amministrazione.
Circa centosettanta Comuni hanno ormai adottato regolamenti per disciplinare “forme di collaborazione tra cittadini e Amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani” (art. 1, regolamento del Comune di Bologna), con l’obiettivo di conciliare il principio di legalità con quello di auto-organizzazione e auto-produzione sociale: ovverosia emancipare, in attuazione della sussidiarietà orizzontale, le prassi sociali, facendole confluire in un riconosciuto e legittimo dialogo paritario con l’Amministrazione comunale.
Nei regolamenti comunali la gestione condivisa dei beni comuni urbani tra cittadini e Amministrazione prende forma e nome di “patto di collaborazione”, quale strumento negoziale preposto alla concreta disciplina degli interventi di micro-rigenerazione. Controversa è la qualificazione giuridica dei patti. Nella maggior parte dei regolamenti, essi sono definiti atti di natura non autoritativa, in questo modo valorizzando il profilo consensuale tipico del “patto”, al punto da rendere l’accordo requisito imprescindibile.
A livello comunale, il principio sussidiario è stato, fino ad oggi, declinato, principalmente, nell’affidamento al mercato dei servizi pubblici locali. Qui la partecipazione dei privati nell’attività di interesse generale si traduce nella mera esecuzione della strategia e della programmazione pubblica, rigidamente regolamentate nel contratto di servizio, senza che vi sia, invero, alcuna attività di “promozione” da parte dell’Amministrazione e alcuna reale “amministrazione congiunta”.
Diversamente, nel rapporto che si instaura nell’ambito del patto di collaborazione la sussidiarietà orizzontale si traduce in una marcata riduzione dell’asimmetria tra Amministrazione e privati, grazie al ricorso a moduli consensuali e al perseguimento di interessi comuni ad entrambe le parti: il patto, pertanto, non può ricondursi né all’azione autoritativa dell’Amministrazione, né ad un intervento esclusivo dei privati.
Tuttavia, perché il procedimento che conduce alla sottoscrizione di un patto di collaborazione possa svolgersi secondo la flessibilità che gli è propria, è necessario che si distingua dall’ordinario affidamento di un contratto pubblico, onde sottrarsi alla relativa rigida disciplina concorrenziale (d.lgs. n. 50/2016, Codice dei contratti pubblici). A tal fine, deve essere assicurata la sostanziale gratuità del patto di collaborazione e la natura non economica dell’attività di micro-rigenerazione (Corte di giustizia dell’Unione europea, sent. 19 giugno 2014, causa C-574/12, Centro Hospitalar de Setúbal, punto 33; Consiglio di Stato, parere del 20 agosto 2018, n. 1382, paragrafo 5).
A fronte dell’obbligo di gratuità del rapporto, il patto di collaborazione non deve, però, degenerare, diventando lo strumento attraverso il quale l’Amministrazione scarica i costi sulla cittadinanza più attiva e responsabile.

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