Una città inedita e dinamica. Inedita, perché gli spazi in gioco sono spesso interstiziali o di margine, anche se non mancano nel testo riflessioni sul contributo che simili pratiche potrebbero apportare alla riattivazione di importanti patrimoni pubblici – come quelli demaniali, ad esempio. Dinamica, perché, nonostante le difficoltà dei mercati immobiliari e la paralisi delle politiche pubbliche urbane e territoriali, si assiste alla produzione di nuovo spazio collettivo – nella forma di community gardens e piazze attrezzate al posto di aree parcheggio e lotti abbandonati, oppure centri culturali, luoghi aggregativi e co-working in fabbriche dismesse ecc. – ad integrazione ed estensione dello spazio pubblico più tradizionalmente progettato, e per azione di alleanze inaspettate, dove ritroviamo, a livelli diversi, Terzo settore, gruppi informali, privato Osservare la città a partire dalle pratiche di cura, riuso e rigenerazione del tessuto urbano, ci permette di riscoprire il carattere delle popolazioni urbane e l’uso tattico dello spazio quale campo di conflitto e collaborazione, di resistenza e istituzionalizzazione, di negoziazione di significati condivisi e co-produzione di nuove categorie di senso. Ma anche di osservare che, sebbene in modo non sempre esplicito – anche nei contributi teorici del testo –, si sta facendo sempre più strada la categoria dei “Beni comuni” come terza categoria di spazio e potente lente interpretativa del contemporaneo, soprattutto quando applicata a quelle esperienze di produzione di città, che nascono dall’uso e dall’interazione diretta delle comunità locali con lo spazio urbano.
Questa lettura delle città ci sembra particolarmente rilevante oggi, quando, in un presente pandemico in cui dominano incertezza e iper complessità, ci è richiesto di trovare delle soluzioni inedite a problemi emergenti, anche rinegoziando le regole dello stare insieme e di conseguenza il progetto di uso delle dotazioni urbane – si pensi, ad esempio, al dibattito sulla possibilità di estendere lo spazio della scuola anche fuori dalle mura degli istituti, per includere cortili, palestre, musei ecc. A questo si aggiunge la necessità di considerare come imprescindibili competenze, risorse ed energie diffuse e disperse tra la società responsabile: nella città agìta, delineata attraverso i 22 casi studio alla fine del testo, così come nelle chiavi interpretative fornite dai saggi teorici raccolti, emergono con vigore istanze di una democrazia che può essere definita “contributiva”, per cui diventa sempre più urgente adeguare strumenti normativi e operativi che facilitino, legittimino e canalizzino in modo strategico, gli interventi diretti operati dalla cittadinanza attiva per il Bene comune.
E allora, ripartire dalla “città agìta” può diventare l’occasione per stimolare le politiche urbanistiche non solo a riconsiderare lo spazio urbano in modo evolutivo e non fisso, ma anche a riformare la propria azione nella direzione del comune, sottraendosi progressivamente alle logiche speculative e privatistiche degli operatori finanziari, che ci consegnano di fatto città per pochi e tutte uguali – tra centri commerciali, residenze di lusso, edifici per uffici ecc. profit, attore pubblico.