Tra Stato e Mercato: la terza via

Una soluzione “comunitaria”: i distretti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni possono fornire un “altro tipo” di risposte a tali problemi, ponendo nuovamente al centro l’autodeterminazione della comunità locale, la cui “regia” può essere svolta dagli amministratori locali più attenti collegando le diverse esperienze dei territori all’interno di una strategia comune di sviluppo sociale ed economico dei territori, quale quella del “localismo inclusivo”. In questo modo gli amministratori riconoscono alle comunità locali, alle persone, un “potere” di autodeterminazione che è stato loro eroso in tempi di globalizzazione. Un “potere” inteso innanzitutto come capacità di controllo delle proprie vite e della costruzione della qualità delle relazioni, ponendo al centro il “buon vivere” nei luoghi dove si è, rendendoli a misura degli abitanti, dei loro problemi, ma anche valorizzando le loro risorse personali e l’inclusività comunitaria. I distretti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni quindi rappresentano un salto di qualità anche della politica: perché rafforzano uno spazio tanto importante quanto “dimenticato”, tra Stato e Mercato.

Filiere di prossimità per un nuovo tipo di sviluppo locale

Così facendo si crea anche un nuovo tipo di sviluppo locale e di amministrazione locale, “abilitando” e dando una dimensione di “scala” più ampia ad esperienze che, senza questa “rete” sarebbero tra loro frantumate. Così si dà loro il senso di una politica amministrativa che supera i confini, perché vede in tutto ciò non tanto un’aggregazione di attività che si sommano l’un l’altra, ma la creazione di un salto di qualità del fare amministrazione locale e sviluppo locale, favorendo nuove reti e filiere di prossimità dei beni comuni. E’ questa, in concreto, la politica di “localismo inclusivo”.
Questo tipo di esperienze “distrettuali” di beni comuni può essere riproducibile anche in forme diverse su altri territori, come sembrano evidenziare alcuni amministratori che hanno partecipato al convegno. Ma   richiede comunque sempre una forte scelta politica in questa direzione orientando in tal senso tutta un’amministrazione locale, nella sua componente politica e tecnica.

Una scelta Politica

Sembra emergere che nei distretti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni vi sia un coordinamento, un tendenziale “fare sistema”, una visione politica sottostante, che favoriscono “comunità che apprendono” competenze civiche e sociali. Ed è proprio questo tipo di competenze acquisite che conferisce “potere” alle comunità: la possibilità/capacità di creare il nostro futuro di fronte a forze globali. Una prossimità reale, non virtuale, che nella forma del distretto per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, significa anche promuovere competenze sul come con-vivere oggi: “città che apprendono” e che creano “comunità inclusive”.
E’ necessario forse oggi più che mai coltivare più che la paura, questo tipo di coraggio, sia da parte di cittadini che amministratori: il coraggio di una nuova politica che attribuisca potere alle comunità locali e a quegli amministratori che sanno interpretare queste nuove esigenze sociali, sapendo che queste costituiscono un nuovo spazio tra Stato e mercato. Perché quando le comunità s’indeboliscono, allora il mercato diventa troppo iniquo e lo Stato troppo autoritario, come afferma Raghuram Rajan. Ricominciare dalle comunità locali è quindi una precisa scelta politica di chi innova in questo “squilibrio”… ricominciando dalle persone.

Fonte:  labsus tratto da scritto di Rossana Caselli

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