partecipazione democratica . . .

Stiamo vivendo un tempo molto buio anche sul piano della qualità della rappresentanza politica, sia italiana che internazionale, ma stiamo anche assistendo alla nascita di “minoranze creative” che emergono dalla società civile e che sono espressioni della Politica con la P maiuscola.

Nella società contemporanea, caratterizzata da forti spinte individualistiche, o meglio dalla ricerca di soluzioni personali, e solo personali, anche a problemi che poi sono collettivi, dedicare attenzione all’analisi di esperienze di solidarietà e partecipazione può sembrare quasi folkloristico.

Oltre a sembrare uno studio di nicchia, può apparire addirittura inutile agli occhi di chi considera i sistemi politico-economici sempre “etero diretti”. In questa direzione, la fredda e motivata considerazione che i decisori sono effettivamente spesso molto lontani da chi subisce le conseguenze delle scelte politico-economiche, si mescola col superficiale “qualunquismo generalizzato e generalizzante”.

Questa impressione viene ulteriormente amplificata nel sud Italia, ed in particolare in terre dominate dalla criminalità organizzata e dalle mafie, intese come sublimazione dell’egoismo, e del mors tua vita mea, dell’homo homini lupus. In realtà, sia con uno sguardo di insieme più generale ma attento, sia con approfondimenti puntuali in settori specifici o territori particolari, ci si trova di fronte a dati ed esperienze sorprendenti, che smentiscono le considerazioni fatte in apertura.

I dati sono necessari per iniziare una riflessione macro su un tema così importante, ma restano pur sempre delle nude cifre, scritte su morti pezzi di carta o monitor di pc. Le seconde, le esperienze vissute, ci consentono di vedere i volti degli uomini e delle donne che si impegnano per e con “l’altro da se”, e per migliorare il contesto in cui vivono con gli altri e per costruire una economia diversa.

Questo “dare volti” ai numeri è molto utile in tutti i tipi di ricerche sociali ed anche economico/giuridiche, ma in particolare in questo caso è fondamentale. Partendo dai numeri, non possiamo trascurare il dato del superamento dei 10 milioni di italiani ed italiane impegnate in attività di volontariato e solidarietà, dichiarata come “continuativa” nel 2012. Per continuativa si intende ripetuta nel tempo in modo costante e non estemporanea, o legata alle festività natalizie. È una attività prevalentemente “organizzata” con altri, anche se nelle forme più disparate: associazioni riconosciute o non riconosciute, parrocchie o centri sociali, cooperative o fondazioni o piccoli comitati locali, ecc, ecc.

Questo dato in aumento, sembrerebbe essere in netta controtendenza col graduale abbandono della vita pubblica, testimoniato dalle sempre più alte percentuali di astensionismo elettorale. Mi spiego meglio: rinunciare, anche momentaneamente, al diritto di voto ed andare ad ingrossare il crescente numero dei delusi e degli astenuti, in molti Paesi equivale ad una presa di distanza dalla Res Publica, non solo dallo “Stato apparato”, ma spesso anche dallo “Stato comunità”, e dalle questioni di interesse collettivo. Si abbandona la sfera pubblica per rinchiudersi in soddisfazioni individuali.

Nel nostro Paese invece la voglia di partecipazione non ha abbandonato la politica, ma solo i partiti, che sono soltanto una delle forme di pratica delle attività di interesse collettivo. Quindi alla fuoriuscita delle persone dalle sedi dei partiti (gli iscritti ai partiti non sono mai stati così pochi nella storia repubblicana) ha fatto seguito in modo quasi speculare un ingresso di persone nelle sedi di associazioni e comitati di vario tipo. E con queste persone è entrata la voglia di “partecipare”, di dare il proprio contributo per cause anche piccole, ma simboliche.

Stiamo vivendo un tempo molto buio anche sul piano della qualità della rappresentanza politica, sia italiana che internazionale, ma stiamo anche assistendo alla nascita di “minoranze creative” che emergono dalla società civile e che sono espressioni della Politica con la P maiuscola. Erroneamente pensiamo che la cittadinanza attiva si esprima ogni cinque anni attraverso il voto, ma la nostra Costituzione (articolo 1, comma 2) dice che “la sovranità appartiene al popolo”: non “deriva” dal popolo, o “nasce” dal popolo, come affermano altre Costituzioni straniere, che è come dire “il popolo dà vita alla sovranità e poi la trasferisce col voto ai propri delegati, ogni 4 o 5 anni, e poi il popolo può stare comodo a casa sua”, ma i nostri Padri costituenti hanno scelto l’espressione forte “appartiene”, che è un termine molto preciso.

In altre parole la cittadinanza attiva si può e si deve praticare tutti i giorni, e a maggior ragione val la pena farlo in questo momento buio della storia politica istituzionale, in cui i partiti (che dovrebbero essere “ascensori sociali”, che portano le istanze dal popolo nelle aule del Parlamento) sono al minimo della credibilità e della rappresentanza. Ma proprio in questo momento di crisi, ci sono tante “buone pratiche politiche” esercitate dalla società civile organizzata. Ci sono sempre più persone che, per esempio, abitando vicino ad un giardino pubblico abbandonato dalle istituzioni da molto tempo, vanno a pulirlo, portano scope e palette, se necessario si autotassano e risolvono il problema. Oppure persone che aderiscono ad associazioni e dedicano parte del loro tempo, ogni settimana, a dare conforto ad ammalati ricoverati in ospedale, o ai loro familiari, per puro spirito solidale.

Queste attività virtuose sono contagiose e diventano la buona Politica, come già diceva Aristotele: iniziare delle buone abitudini le fa poi diventare consuetudini e pratiche facili da ripetere. E questo succede anche in regioni storicamente molto complesse come quelle meridionali, dove è radicata una cultura della delega, frutto di secoli di dominazioni straniere e di sovrani che decidevano al posto dei sudditi. O dove si delegavano i vicerè spagnoli che si “occupavano” del territorio. Poi questo sistema ha attraversato molte trasformazioni ed è degenerato nel sistema mafioso e camorristico, ed ha mantenuto grosse fette di popolazione italiana nella paura e nell’isolamento.

In questa sede è certo difficile sintetizzare le tante concause della situazione meridionale, ma preferisco limitarmi a dire che proprio dove si è diffusi per anni u  comportamento che è stato definito “familismo amorale” (ma correttamente Isaia Sales contesta questa definizione argomentando in modo convincente)  e la difesa degli interessi di microbotteghe, si sta verificando una reazione d’orgoglio della popolazione meridionale, e si registra una crescita significativa delle più disparate forme di cittadinanza attiva.

Proprio dove si sono sgretolate per anni le relazioni interpersonali e dove si è distrutta la terra sono nati comitati civici molto attivi. Si dirà che è una reazione tardiva, che il popolo meridionale si è svegliato solo quando è sbattuto violentemente di fronte alla realtà drammatica. Sta di fatto che, ad esempio nella regioni del sud sono nate alcune delle principali iniziative di solidarietà sociale degli ultimi anni, e sta diventando sempre più un laboratorio interessante in cui si cerca sostenibilità e benessere, con soluzioni a livello locale, ma coordinato tra i “portatori di valore” e non solo di interessi.

Per quanto riguarda il rapporto tra popolo sovrano e partecipazione, si pensi ad un diagramma con quattro lati. Un lato è l’individualismo che porta a risolvere i problemi da sé, soltanto se toccano direttamente il proprio interesse personale; un altro lato è la cultura della delega che facilmente degenera in metodi clientelari o corrotti; un altro ancora è la cittadinanza esercitata soltanto al momento del voto che ha generato una “casta” che fa il proprio interesse e non si cura del bene comune. L’ultimo lato è costituito da tutte le pratiche della democrazia della partecipazione. Quest’ultima costituisce quella reazione delle minoranze creative che stanno emergendo dal momento buio che stiamo vivendo, e si stanno inventando una via di uscita pacifica e nonviolenta alla crisi delle istituzioni e dell’economia.

Fonte: BENE COMUNE scritto da Renato Briganti

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