qualcuno ci vuole soli e divisi. . . L’antidoto è l’amicizia vera ! . . .

Nella nostra vita non c’è più il calore di una famiglia, di una casa, di una compagna. E allora pensiamo al nostro migliore amico, che non vediamo e non sentiamo da decenni. “C’è qualcosa in un’amicizia che non si può ridurre alle cose visibili,” qualcosa come una scelta, avvenuta chissà quando. Per questo, i cavalieri sono fratelli in armi dall’istante del giuramento. L’amicizia è l’inizio di un tempo diverso, in cui si diventa adulti, e si prova insieme nostalgia per le cose perdute e l’angoscia eccitante di un’età nuova.

L’amicizia non c’entra nulla con concetti come il “piacere” o “l’utilità”: è invece un rapporto che si instaura tra “buoni”, ovvero tra coloro che detengono la virtù; persone alle quali vogliamo bene perché ci permettono di vedere noi stessi, e in loro vediamo realizzate le virtù che vorremmo avere. Eppure, nel mondo contemporaneo e capitalista, l’amicizia riesce a sopravvivere in forme meno ideali di quella sognata dal filosofo: diventa infatti un’ancora di salvezza per superare insieme ad altri gli esami del futuro, un ponte per raggiungere quelle “cose belle e necessarie” che secondo lo stesso Aristotele bisognerebbe passare la vita a contemplare.

Farsi degli amici però, man mano che si cresce, sembra essere sempre più difficile. Le condizioni necessarie per stabilire una buona amicizia: “prossimità, interazioni ripetute e non pianificate, e un contesto che incoraggi le persone ad abbassare la guardia e a confidare le une nelle altre.” Tre presupposti che in questa epoca, quando si superano i trenta, sono difficili da trovare. Un fattore essenziale: le persone si accoppiano, si sposano e fanno figli e riducono il proprio network personale: non c’è tempo per tutto. Si crea così un bivio: chi sceglie la propria famiglia per amico, e chi, restando single, sceglie i propri amici per famiglia. Del resto, ci manca anche che l’amicizia diventi un lavoro extra.

Bisogna intanto riconoscere l’esistenza di diversi mostri sociali che si frappongono tra noi e il tentativo di fare amicizia. Ci sono posti come sedi di partito, meet-up online o assemblee di centri sociali e associazioni, che vengono spacciati per comunità senza che nessuno s’interessi davvero del benessere dei singoli membri; o club esclusivi dove si va per fare amicizia, ma in realtà ciò che si compra è lo status quo del lusso nella sua forma più glaciale. A volte la solitudine, anche se non ha per forza l’aspetto di un individualismo eroico o sembra preferibile allo stare insieme a qualcun altro. L’alienazione creata dalla macchina lavorativa, poi, può essere tanto inconscia e prepotente nella nostra esistenza da allontanare i nostri potenziali amici.

Forse il problema non è tentare di superare l’individualismo in sé, quanto la nostra dipendenza da una solitudine amareggiata che sembra caratterizzare l’inizio di questo secolo.    IL COVID C’E’ RIUSCITO ! . . .
Altro ostacolo tra noi e l’amicizia vera è il business: “l’operosità”, ma più in generale l’essere impegnati a essere impegnati, da cui molti di noi sembrano incapaci a fuggire, i negotia di Seneca. Il capitalismo, impedisce ogni forma di genuina e convivialità. “Non appena un gruppo di amici inizierà a visualizzare degli obiettivi immediati, realizzabili attraverso la solidarietà e la cooperazione, ecco che a uno tra loro sarà offerto il ‘buon’ posto di lavoro,” che finirà per assorbire tutte le attenzioni della persona. Peccato che quasi sempre quel lavoro apparterrà alla categoria che l’antropologo David Graeber ha definito bullshit jobs, i “lavori del cazzo”, lavori ausiliari proliferati moltiplicando quelli produttivi: stagisti messi a fare fotocopie, designer messi a fare grafici tutti uguali, passacarte, riders, personale di call center super-qualificato e depresso.
È come se qualcuno si fosse messo di impegno a creare lavori inutili solo per tenerci tutti occupati. “Sara’ mica il covid ? . . .”

il continuo bla bla che ci ha messo in ginocchio peggio del coronavirus . . .

Da 11 mesi a questa parte in Italia si parla solo di coronavirus su tutti i mezzi di comunicazione, come se tutto il resto avesse completamente perso d’importanza o di valore. Tutto questo bla bla bla non ha scacciato il virus fuori dai confini nazionali, ma in compenso ha prodotto una serie di danni che faranno sentire a lungo i loro effetti. Danni economici molto maggiori di quelli provocati dalla crisi economica globale e danni socialialla psiche – di enorme rilevanza, perchè se già prima  eravamo mediamente razzisti e xenofobi, ora siamo arrivati ad un livello di paranoia per cui vediamo tutti i nostri simili, indipendentemente dal paese di origine, come un pericolo per la nostra sopravvivenza.

L’Italia punta ormai quasi solo sul turismo. L’industria perde pezzi tutti i giorni, l’agricoltura stenta a far fronte alla concorrenza globale, anche perchè continua a puntare sulla quantità invece che sulla qualità. Perdere i turisti, siano essi cinesi, europei o americani, vuol dire mettere in ginocchio l’Italia.
Ebbene, possiamo dire di esserci riusciti. La gestione della comunicazione intorno al coronavirus non ha fermato il virus, ma è riuscita a fermare quasi tutti i turisti che avrebbero voluto visitare l’Italia.

I bla bla bla degli allarmi, delle emergenze, del “ci ha invaso”, del “moriremo tutti”, attecchiscono dannatamente bene e non esiste dato statistico in grado di smentire.

E’ ovvio quanto faccia comodo al alcuni !!! . . .

Una gigantesca responsabilità del sistema che si dimostra assai inadeguato nel portare a conoscenza realtà e precauzioni da prendere a seconda i casi, ma preferiscono cavalcare ogni allarme.

 

 

 

la nostra ricerca di aziende che desiderano investire nel Bene Comune. . .

Rispetto la generosità delle persone e la rispetto anche nelle aziende.

Non la vedo però come filantropia, ma come un investimento nella comunità” Paul Newman -

Torna la necessità di pensare in termini di bene comune, di responsabilità civica.

Un impegno che richiede la partecipazione di tutti, ma che è ancora più grande se si detengono posizioni di potere” – Enzo Manes -

La responsabilità civica è diventata un imperativo per le imprese. L’ipotesi dalla quale parte il lavoro di sensibilizzazione del COMITATO SPONTANEO TRAZZERA MARINA è che, l’impegno delle aziende per il bene comune sia una responsabilità importante tanto come quella di produrre valore economico.

Lo sviluppo dell’attività economica delle imprese diventa necessario per raccontare, ispirare attraverso esempi e misurare quanto concretamente fatto per la società: questa ricerca nasce da questo obiettivo. Esistono anche benefici secondari: la misurazione d’impatto e il reporting ottimizzano la consapevolezza organizzativa interna alle imprese e la capacità di gestire i rischi esterni, migliorano la reputazione esterna e la fiducia dei consumatori. La misurazione diventa un aspetto strategico, e un mezzo per pianificare l’efficacia dei progetti.

La filantropia aziendale è però in fase di grande cambiamento sia a livello italiano che mondiale. Il contributo al Bene Comune.

All’interno dei tre criteri di rendicontazione che oggi stanno acquisendo sempre più importanza nel mondo corporate, i cosiddetti ESG

(che analizzano gli impatti su Environment, Social e Governance), si riscontra come all’interno della ESG sia importante rendicontare non solo le erogazioni liberali, le donazioni di prodotti e servizi pro bono, ma anche gli sforzi sociali interni ai dipartimenti dell’impresa, le nuove tipologie di contributi (ad esempio gli investimenti a impatto sociale) e i servizi sociali erogati direttamente dai dipendenti nella comunità.

Costruiamo la cittadella della conoscenza e della cultura e base operativa delle attività. Centro Arti e Scienze, con il Comune di Capo d’Orlando per fare partire “START – Laboratorio di Culture Creative”, dedicato alla conoscenza, alla creatività e alla diffusione della cultura scientifica e artistica con particolare attenzione verso bambini e ragazzi dai 2 ai 13 anni e le loro famiglie. Center a livello europeo, che propone una riflessione sul rapporto tra nutrizione e piacere con l’obiettivo di chiarire perché il gusto sia un ingrediente chiave della nostra vita e si agganci così fortemente alla sfera emotiva un centro di ricerca, immaginazione e sperimentazione che ospita l’esposizione tra arte e scienza IMPREVEDIBILE, essere pronti per il futuro senza sapere come sarà Capo d’Orlando Factor, l’Incubatore-Acceleratore per nuove realtà imprenditoriali programma di formazione per gli insegnanti di ogni ordine e grado in collaborazione con il progetto I Lincei per una nuova didattica nella scuola: una rete collaborativa con gli istituti scolastici dei Nebrodi per costituisce il Polo Nebroideo a Capo d’Orlando, in partnership con l’Accademia dei Lincei con l’obiettivo di promuovere un modo nuovo di fare didattica incentrandosi su multidisciplinarietà, sperimentazione in laboratorio, nuove tecnologie e approfondimenti culturali sui legami tra ricerca, scienza, innovazione, tecnologia e società. Giardino delle imprese, scuola informale di cultura imprenditoriale che valorizza le doti individuali e le propensioni dei giovani all’intraprendere. Nell’ambito del progetto imprenditori di successo ed esponenti del mondo accademico accompagnano gli studenti con formazione, project work, eventi e attività pratiche finalizzate alla sperimentazione concreta e all’avviamento di un’idea originale di impresa. Arte e scienza del gusto, che propone una riflessione sul rapporto tra nutrizione e piacere con l’obiettivo di chiarire perché il gusto sia un ingrediente chiave della nostra vita e si agganci così fortemente alla sfera emotiva

Fare squadra –  perché pensiamo che sia l’unico modo per crescere insieme, muovendosi su asset quali quello dell’esperienza, della competenza e del territorio.

 

 

 

 

Come fanno i danesi ad essere il popolo più felice? . . . copiamoli . . .

Fare squadra e giocare insieme (anche in cucina) con i figli è la Danish Way

No al genitore autoritario, si a quello empatico e democratico. Soprattutto disponibile a giocare con i propri bambini e se il tempo è poco bisogna provare a rinunciare a qualche impegno oppure approfittare dei ritagli di tempo, come al supermarket o mentre si cucina.

Anzi spignattare e fare la spesa non vanno più considerate faccende riservate agli adulti ma occasioni per giocare insieme a scopo educativo per crescere i propri figli, dai più piccoli ai pre-adolescenti, in modo più sereno. Così la pensano i danesi (popolo fra i più felici al mondo di anno in anno, secondo il World Happiness Report) e, alla luce delle nostre nuove abitudini in cucina (dal lockdown abbiamo ricominciato ad usare forni e fornelli e a mangiare soprattutto a casa), si potrebbero carpire i segreti del ‘metodo danese’ dedicati alla cucina e alla tavola per crescere figli sereni, socievoli e con una buona dose di autostima.
Cucinare va alla grande, lo si vede dall’offerta di trasmissioni tv dedicate al mondo della ristorazione, dai video tutorial e dal boom di ricette pratiche propinate su TikTok e rivolte ai più giovani, perciò si può approfittare di questa attività quotidiana per farne occasione di crescita ‘alla danese’. Ne sono convinte Jessica Joelle Alexander, psicologa, giornalista americana trasferitasi in Danimarca da molti anni e con alle spalle bestsellers sul metodo danese tradotti in 28 paesi, con Camilla Semlov Andersson, esperta della Danish Way.
“Con i figli l’autorità non vale, non servono sermoni e ultimatum, gli ingredienti per crescerli sereni e fiduciosi è fare squadra, coinvolgendoli, essendo autentici, facendogli percepire un ambiente intimo e accogliente, nutrendo le loro emozioni mostrando le nostre. Il gioco non strutturato, libero, è lo strumento migliore per renderli adulti più felici, equilibrati e resilienti, – spiegano le esperte nel nuovo manuale ‘Il metodo danese per giocare con tuo figlio’ (edito da Newton Compton), pieno di modalità di gioco originali e creative.
Le attività quotidiane diventano il palcoscenico perfetto per giochi divertenti ed efficaci. Quale il luogo ‘intimo’ per eccellenza dove nutrire le emozioni dei figli? Non la loro cameretta né la televisione tutti insieme. E’ la cucina, che riunisce la famiglia in modo attivo e affettuoso. In cucina si possono preparare ricette insieme ma il percorso educativo danese completo può iniziare dal supermercato, dove recarsi insieme per scegliere gli ingredienti delle ricette da sperimentare.
Se con i più piccoli cucinare deve essere un gioco vero e proprio, ai pre-adolescenti, consigliano le autrici, – è bene lasciare loro una sera a settimana affinché cucinino da soli per tutta la famiglia. I più grandi possono anche andare al supermercato da soli e acquistare gli ingredienti delle ricette prescelte. L’intento è di dare forza al senso di autonomia, facendolo in modo affettuoso, emozionante perché condiviso tutti insieme intorno alla tavola. Ci sono però dei presupposti fondamentali: il primo è rendere la tavola o la sala da pranzo phone-free, una zona franca o, come la definiscono i danesi, ‘un luogo sacro’ dove sono banditi i telefoni e i tablet in modo da facilitare chiacchiere, racconti, risate e sentimenti a ruota libera.
Il secondo presupposto tiene conto degli impegni e della stanchezza degli adulti che non sono sempre pronti a giocare con i loro figli. Invece per giocare ci vuole l’attitudine giusta che permetta di interagire a dovere. Prima di cominciare perciò è bene rispondere ad alcune domande: quale è il mio stato d’animo? E quello di mio figlio? E’ questo il momento giusto per noi?
Nel gioco anche i genitori devono partecipare, essere presenti e responsabili della comunicazione (saper controllare il tono della voce, il linguaggio usato, sapere ascoltare e non trasmettere scontrosità o fretta). Il segreto è mettersi nei panni dei figli. Se non ci si sente pronti in quel momento ci si può distanziare in modo educativo organizzando un gioco che il figlio potrà fare da solo o passare il testimone al partner.

Fonte: Copyright ANSA

 

bene comune . . . cerchiamo figure che si vogliono formare . . .

È un momento critico per il Paese e per il mondo intero:  è importante la formazione non solo per la componente professionale, ma anche per le ricadute che ha su un tessuto civile e sociale di una comunità che sembra a rischio di disgregazione.

Nell’ottica di Bene  Comune, il COMITATO SPONTANEO TRAZZERA MARINA si ispira a valori di leadership responsabile che comprendono:

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autenticità:

mettere talento, passione e capacità di innovare al servizio del Bene Comune;

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eccellenza:

promuovere la cultura del fare bene e sempre meglio;

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responsabilità sociale:

operare per la crescita della comunità creando valore condiviso;

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inclusione:

creare un clima di co-progettazione per una società human centred, volta a valorizzare le molteplici diversity;

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sostenibilità:

perseguire una cultura eco-friendly, per tutelare e fruire con consapevolezza della natura, restituendola alle generazioni future.
Il contesto in cui oggi operano le imprese sta attraversando un periodo di profonde trasformazioni sociali.
Le strategie di sviluppo delle aziende dipendono sempre più da una conoscenza di questi cambiamenti, che condizionano tanto l’organizzazione interna delle imprese quanto il loro rapporto con i clienti, accompagnare aziende e top manager in percorsi di creazione di valore condiviso, al fine di affrontare la sfida della Corporate Philanthropy, coniugando risultati di business,  impatto sociale e sostenibilità.
Siamo in contatto con un’azienda che offre servizi di consulenza e proposte formative ad hoc con trainer e coach esperti, per affrontare nel modo più completo le principali tematiche relative allo sviluppo delle skills individuali e di gruppo, come change management, team work, leadership, comunicazione trasversale e motivazione.

Organizzazione no profit  per l’evoluzione sociale:

Se sei interessato/a a far parte della squadra del COMITATO TRAZZERA MARINA  fine pagina trovi - lascia una risposta - scrivi i tuoi riferimenti - ti contatteremo – oppure telefona a . . .

– tel. mobile 347-4629179  e-mail : comitato@trazzeramarina.it

ognuno pensa “solo” al suo orticello …io speriamo che me la cavo . . .

Qualche giorno fa stavo parlando con un mio amico e ho formalizzato meglio il pensiero, ora mi trovo a scriverlo e a condividerlo su questa mia pagina, perchè anche se è una riflessione e non parla di questo o quel prodotto / iniziativa, non è off-topic….poichè lo sviluppo sostenibile passa anche da quanto segue.

Ci lamentiamo spesso del fatto che “ciascuno pensa solo al proprio orticello”…  questa è una frase che ripetiamo spesso, come molte delle cose “consolidate” nella nostra mente, forse non ci riflettiamo abbastanza…
Spesso mi sono soffermo a pensarci ! . . . Solitamente nella mia testa rimbomba di più la frase “sono solo una goccia nel mare”  mi sono reso conto che c’è analogia tra queste due detti, dell’orticello e della goccia nel mare, percio’ posso vederle come un’unica cosa…

Perchè essere una goccia nel mare “è poco” e non influisce sul mondo – almeno nell’eccezione in cui si dice appunto “sono solo una goccia nel mare”, quindi non si fa perchè non conta, in antitesi a questo si dice che ciascuno “pensa solo per sè, al proprio orticello”, come se pensare al proprio orticello fosse tutto quello che conta.

…insomma ce la rigiriamo come ci pare?… io speriamo che me la cavo ! . . . anche questa è coniata sul nostro bel paese . . .per farla breve alla fine secondo me se ciascuno pensasse solo al proprio orticello la cosa sarebbe più che positiva, ma nel vero senso delle parole però: alla base della coltivazione del proprio orticello devono esserci l’uso delle proprie risorse e non il depredaggio di quelle altrui, la voglia di far bene per vivere in un posto migliore e mangiare cose genuine: se ciascuno curasse il proprio orticello senza accedere a quello altrui…. si avrebbero tante prelibatezze e genuinità, e rapporti di buonissimo vicinato.

Se invece qualcuno estirpa le erbe dal suo orto e le butta a casa del vicino, oppure prende la sua frutta quando lui non è in loco ! . . . allora non va bene ! . . .

La condivisione deve essere un atto volontario volto alla sinergia.

Quindi prima impariamo ad essere autonomi e a coltivare il nostro orto, per essere una goccia nel mare, un’entità autosufficiente e poi iniziamo a tessere una rete di relazioni che ha alla base la volontà di creare sinergia e non sfruttamento.

 

creiamo una rete di aiuto . . .

Facciamo i referenti territoriali della promozione sociale Cittadinanza Attiva del Comune di Capo d’Orlando, perché no ! . . .Potrebbe essere lo strumento più agile ed immediato per collaborare con la pubblica amministrazione al raggiungimento degli obiettivi concreti. Attraverso un iter chiaro e intuitivo, permettere ai cittadini di utilizzare i canali di comunicazione dell’amministrazione acquisendo credibilità per la promozione della socializzazione e degli obiettivi. Permettere l’interfacciamento a corsi di formazione/informazione in ambito sanitario, educativo, sociale, scolastico, progettuale etc. L’attivazione di una rete Stimola professionisti sia pubblici che privati per garantire consulenze qualificate a gruppi di cittadini. Individua modelli assicurativi misti, definiti ad hoc con le partnership locali in relazione alle esigenze dei cittadini. Facilita la messa a disposizione di spazi comunali, per lo svolgimento delle attività ed incontri confronti.

ricostituire un tessuto di convivenza civile basato su fiducia e ascolto reciproco.

La fiducia: la grande assente di questi tempi

«Ma come si fa a conquistare la fiducia di abitanti che proprio perché sensibili e attenti ai problemi della manutenzione del territorio, sono totalmente sfiduciati?», si chiede Sclavi. «Bisogna ascoltare la loro personale esperienza, le loro osservazioni e proposte con estremo rispetto e considerazione. Bisogna comunicare loro che nel progetto in atto, si partirà dall’insieme delle osservazioni ed esperienze concrete, circostanziate, e si lavorerà col metodo delle proposte positive, imparando da tutte le buone pratiche esistenti, per elaborare delle soluzioni e progetti di mutuo gradimento. Al posto della selva oscura dei “regolamenti”, i cittadini attivi guardano da un lato al loro territorio e dall’altro direttamente ai valori e principi della Costituzione e in particolare quell’art. 118 (Nuovo Titolo V, ultimo comma, 2001) che ha introdotto il diritto dei cittadini a occuparsi del bene comune».
Ecco il valore aggiunto che questo sistema genera e diffonde. Altro che lentezza, conflittualità perenni e decisioni “di pancia” o contrapposizioni nefaste. «La verità è esattamente il contrario», afferma con ostinazione una delle fautrici più longeve e accreditate di questo sistema. È proprio «nella misura in cui le persone sono costrette a rapportarsi le une alle altre come una sommatoria di ego isolati, come succede nelle nostre assemblee e riunioni politiche, e nei rapporti fra cittadini e uffici della PA, che i cittadini quando si incontrano sono sospettosi e litigiosi e la dinamica di gruppo viene dominata dalla necessità di difendersi e schierarsi. È nella assenza della capacità di iniziative positive comunitarie, che i boss delle varie cosche possono intimidire e comandare ed è grazie alla difesa dei “segreti di ufficio”, che gli speculatori possono far valere il governo delle tangenti». E invece la democrazia deliberativa va in tutt’altra direzione: «consiste nel costruire delle forme di rappresentanza politica ad hoc, diverse sia dalla democrazia rappresentativa parlamentare classica che dai referendum e a loro complementari. È una rappresentanza che non ha come scopo mettere una ideologia od opinione contro l’altra, ma far emergere dalla diversità l’intelligenza collettiva, con un mandato di equità sociale».
Proseguendo, la Sclavi alza il tiro: «l’accaparramento da parte dei poteri forti dei compiti di progettazione del territorio non solo oggigiorno è la premessa per dei grandi disastri materiali, ma anche spirituali in quanto nega alle persone il diritto a una convivenza arricchita da immaginazione e intelligenza collettiva».

Fonte : LABSUS.it - n.320 - estratto da scritto Marianella Sclavi

 

investiamo su ricerca e sviluppo . . .

PERCHÉ È IMPORTANTE   L’importanza dell’innovazione e della ricerca per lo sviluppo economico e il benessere della società è ampiamente riconosciuta. È storicamente dimostrato che i Paesi che hanno puntato in questa direzione hanno consolidato la crescita e sono oggi i più avanzati. Perciò è necessario creare le condizioni affinché pubblico e privato dirottino una parte rilevante delle risorse nella ricerca.
 
L’Italia è divisa dalla maggior parte dei Paesi Occidentali sotto il profilo tecnologico e della R&S. La spesa complessiva è non ha mai superato l’1,4% del PIL, mentre nella Germania e negli Stati Uniti nel 2018 questa percentuale è vicina al 3%.

UN PROBLEMA BIPARTISAN   Se, in generale, gli investimenti nelle attività di ricerca e sviluppo sono inferiori alle principali economie mondiali non è solamente una questione che attiene al pubblico. Anche il privato ha mostrato debolezze strutturali sul piano dell’innovazione. Sicuramente le dimensioni delle imprese e la scarsa internazionalizzazione degli ultimi decenni ha inciso profondamente anche sulla direzione degli investimenti. Non è un caso che si parli di sistemi d’innovazione. Pubblico e privato sono entrambi essenziali. E la trasmissione di informazioni e conoscenza tra le due sfere è fondamentale.
 
AI E INDUSTRIA 4.0 A RISCHIO?   Un sistema debole può compromettere anche l’applicazione nei singoli stati delle tecnologie emergenti a livello globale. L’Europa, in generale, e l’Italia rischiano di perdere le opportunità di sviluppo offerte dai nuovi orizzonti tecnologici come Industria 4.0 e Intelligenza Artificiale. Come una ricerca del think tank Bruegel sottolinea, la carenza di formazione e istituzioni in cui vengano sviluppate le competenze da applicare ai settori “di frontiera” può ampliare il gap con Stati Uniti e Cina.
 
QUALI POLICY?   Un atteggiamento poco attivo sul fronte degli investimenti nella ricerca e una cultura diffidente verso la Scienza hanno avuto ricadute negative sull’economia italiana. Il Recovery Fund e le risorse sbloccate possono essere sicuramente di grande aiuto, se incanalate correttamente e monitorate, come esposto anche nel valido #PianoAmaldi. Tuttavia non è sufficiente avere una capacità di spesa straordinaria. Il cambiamento deve avvenire in modo strutturale.
 
Per questo motivo è necessario:

  • Aumentare la percentuale sul PIL degli investimenti in R&S di circa 0,2 punti percentuali ogni anno fino al 2027. In questo modo è possibile sfruttare la finestra temporale offerta dall’ampliamento del budget europeo e dal Recovery Fund;
  • Favorire il più possibile l’interscambio di conoscenze e innovazione tra settore e pubblico privato attraverso partnership ad hoc. Partendo dagli investimenti nella ricerca di base (che vanno ampliati sul totale) è possibile favorire l’applicazione tecnica nella produzione di beni e servizi;
  • Creare una rete di competenze tecnologiche sia a livello pubblico – con investimenti nei programmi rivolti all’implementazione dell’Industria 4.0, dell’AI, del 5G etc. – sia a livello industriale – incentivare la formazione continua sul lavoro con politiche attive, sgravi fiscali e vincoli alla ricezione dei fondi pubblici;
  • Portare avanti programmi di sensibilizzazione e informazione delle attività scientifiche e di ricerca, se necessario con la costituzione di un’agenzia ad hoc o attraverso istituzioni già presenti. Inoltre, è auspicabile una cooperazione con i privati per il dialogo con i territori affinché si evitino posizioni anti-scientifiche a detrimento della libertà allo sviluppo e al benessere.

Il Recovery Fund e le risorse dell’UE non devono essere un pretesto per incrementare la spesa senza criterio. Si apre uno spiraglio fondamentale per invertire il ciclo economico. Sfruttarlo al meglio è dovere della politica e controllarla è compito dei cittadini. Fondamentale è impostare una strategia che non si concluda con la fine dei fondi comunitari, ma rimanga impressa nel sistema italiano. 

Fonte - Competere

PER SALVARE IL CLIMA, CAMBIAMO LA FINANZA

Nessuno può più fingere di non sapere: le banche – e con loro le società di gestione del risparmio e le assicurazioni e tutta la finanza – hanno grandi responsabilità nei cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo la vita sul pianeta. Dietro ai giganti del petrolio e del carbone e alle grandi industrie più inquinanti ci sono infatti sempre gli investimenti che le banche fanno con i soldi dei risparmiatori.

Secondo un rapporto diffuso in queste settimane dalle organizzazioni Stand.Earth (che opera in Canada e negli Stati Uniti) e dalla californiana Amazon Watch, 19 banche europee hanno finanziato massicce operazioni petrolifere in Amazzonia con ovvie conseguenze negative sui cambiamenti climatici a danno delle comunità indigene, con ripercussioni a livello globale, visto che l’Amazzonia è il polmone verde del Pianeta.

Banktrack, organizzazione internazionale che monitora gli impatti sociali e ambientali delle scelte delle banche, spiega: “Le banche, come tutte le aziende, producono gas serra direttamente attraverso le loro attività. Tuttavia, il loro contributo più importante alle emissioni di gas serra è indiretto, attraverso il finanziamento di clienti e progetti che generano emissioni. Le banche continuano inoltre a svolgere un ruolo chiave come principali finanziatori dell’industria del carbone, del petrolio e del gas, ritardando di fatto la transizione tanto necessaria da un’economia basata sui combustibili fossili a un’economia basata sull’efficienza e sulle energie rinnovabili. Per impedire che la crisi climatica si sviluppi ulteriormente e porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili, le banche devono smettere di finanziare l’industria dei combustibili fossili. Ma questo non sta accadendo! Secondo il nostro ultimo rapporto “Banking on Climate Change“, pubblicato nel marzo 2020, tra il 2016 e il 2019 solo 35 banche globali del settore privato hanno incanalato l’incredibile cifra di 2,7 trilioni di dollari in progetti e aziende di combustibili fossili a livello globale. Più di 975 miliardi di dollari di questi investimenti sono andati all’espansione dell’industria dei combustibili fossili”.

Pure la campagna statunitense “Stop The Money Pipeline” – anche con la voce dell’indomabile Jane Fonda – sta risvegliando l’attenzione degli investitori americani (e non solo) sul fatto che “se fermiamo il flusso di denaro, possiamo fermare il flusso del petrolio”.

Il movimento dei Fridays for Future – che il 25 settembre celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale di mobilitazione per il climaha da subito messo al centro dell’azione il ruolo delle banche e il potere delle persone. Che possono scegliere: affidare i propri risparmi a chi continua ad aggravare la minaccia climatica, o invece rivolgersi a chi investe su progetti green e rispettosi dell’ambiente (oltre che dei diritti umani).

Il potere della finanza etica

La spinta dell’opinione pubblica sta inducendo molte banche a pubblicizzare alcuni prodotti finanziari “green”, senza tuttavia rinunciare a collocare anche prodotti che investono in fonti fossili e altre attività inquinanti. La finanza etica adotta criteri più selettivi rispetto alla finanza cosiddetta “sostenibile” o ESG nel valutare dove investire il denaro dei risparmiatori e degli investitori. Da oltre 20 anni il Gruppo Banca Etica è l’unico in Italia interamente dedito alla finanza etica che mette la tutela dell’ambiente e dei diritti delle persone al primo posto nelle scelte di investimento. Una politica radicale per coniugare rendimenti, tutela del risparmio e impatti socio-ambientali positivi che incontra sempre più il gradimento di persone e imprese: ad oggi Banca Etica raccoglie risparmio per 1,6 miliardi di euro ed eroga finanziamenti a imprese sociali, associazioni e famiglie per oltre un miliardo di euro. Etica Sgr – la società di gestione del risparmio del Gruppo – ha masse in gestione che ammontano a circa 5 miliardi di euro.

Chi sceglie i prodotti finanziari del Gruppo Banca Etica pretende la certezza che il proprio denaro sia usato per finanziare iniziative che – per quanto possibile – non rechino danni, ma anzi favoriscano quella crescita sostenibile e inclusiva, ancora più necessaria dopo lo shock della pandemia. Per questo lavoriamo a una rendicontazione sempre più precisa degli impatti della nostra attività.

Fonte: bancaetica.it

Indipendenti per scelta, da sempre.

Il progetto nasce dall’idea di affrontare problemi reali con iniziative attive ed atteggiamento positivo e proattivo.