sistema chiamato Amministrazione condivisa

Sperimentando un ampliamento del concetto di amministrazione condivisa. La realtà non si è limitata a seguire la sua intuizione: sta andando oltre la consapevolezza anche culturale di un processo mosso sul piano locale.

Fonte: labsus di Fabio Giglioni 8 Luglio 2019

Quando poco più di venti anni fa Gregorio Arena, presidente di Labsus, scrisse il suo saggio Introduzione all’amministrazione condivisa (in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 1997, 117-118, 29) probabilmente non immaginava che quella sua elaborazione teorica si sarebbe trasformata non solo in sperimentazioni pratiche ma addirittura in un vero e proprio modello di amministrazione aggiuntivo a quelli che già si conoscono. Già, perché è questo che gradualmente comincia a intravedersi man mano che le sperimentazioni cominciate su base comunale salgono di scala.
Ne ha parlato nell’ultimo editoriale di questa rivista Rossana Caselli, con riferimento alla creazione di veri e propri distretti dell’amministrazione condivisa su scala provinciale. La costituzione di una rete mista tra amministratori (ma anche tra associazioni e cittadini) per condividere le esperienze, le difficoltà, le opportunità e per accrescere la consapevolezza.

Le diverse scale territoriali dell’amministrazione condivisa

In occasione della pubblicazione di questo editoriale i lettori troveranno il commento di Laura Muzi alla prima legge regionale sull’amministrazione condivisa entrata in vigore qualche giorno fa. Per la prima volta in Italia, dunque, viene approvata una legge che assume come riferimento l’amministrazione condivisa, i regolamenti che la sostanziano e i patti di collaborazione. Si tratta di una legge che ha, in primo luogo, il primato di applicare questo modello all’amministrazione regionale perché la regione, tra le altre cose, gestisce patrimoni sul territorio, governa l’edilizia residenziale pubblica, gli enti parco, la sanità, settori – cioè – che presentano notevoli potenzialità di sperimentazione per l’amministrazione condivisa. In aggiunta a questo è una legge che mette la regione al servizio dei suoi comuni: si offre come soggetto che favorisce la formazione, elemento cruciale per questo nuovo modello organizzativo, mette a disposizione le proprie risorse infrastrutturali e anche, in misura minore, finanziarie per sostenere e diffondere oltremodo l’amministrazione condivisa. Ha l’intelligenza – questa legge – di non stabilire dall’alto quali sono i patti di collaborazione da favorire, discriminando e indirizzando i comuni, ma si mette al servizio dei loro progetti senza definizioni preordinate.
Infine, solo per il fatto di essere una legge, questa ha il merito di rassicurare anche i tanti funzionari e dirigenti che su questo tema sono frenati dalle preoccupazioni in ordine alla responsabilità amministrativa. Come è sempre accaduto nella storia d’Italia, le migliori cose sono state prodotte e sperimentate spesso nella periferia e si deve a molti bravi amministratori, dirigenti e funzionari pubblici il coraggio di aver intrapreso un percorso di rinnovamento dell’amministrazione anche correndo qualche rischio. Da questo punto di vista la legge regionale del Lazio è una prima risposta che va nella direzione di incoraggiare i dipendenti pubblici a rinnovare le prassi amministrative e il modo di amministrare la cosa pubblica.
Altrettanto ancora si vede sul territorio con le unioni di comuni e con le Città metropolitane. Milano è la prima Città metropolitana ad aver approvato il regolamento dei beni comuni urbani e ciò ha un valore particolarmente forte perché avviene in un’area territoriale che ha anche sviluppato le zone omogenee ed ha avviato quella politica della differenziazione delle policy che è particolarmente utile per l’amministrazione condivisa: quanto più le sperimentazioni civiche si caratterizzano come forme di integrazione di politiche pubbliche chiare, rinnovate e decentrate, tanto più l’amministrazione condivisa avrà la forza di distinguersi come un vero e proprio sistema.

La realtà supera le intuizioni

Ma questo processo non riguarda solo le scale territoriali. La creazione di un sistema si vede anche dallo sforzo che nei territori si produce per integrare le esperienze. In una fase iniziale, che è stata di apprendimento per tutti, si sono spesso esasperate le distinzioni, le diversità e le valutazioni tra modelli diversi. Accanto all’amministrazione condivisa si sono sviluppate esperienze fondate più sull’autogestione civica.
In Italia spesso questo si è tradotto in una contrapposizione tra modello di Bologna e modello di Napoli. In verità, pur essendo vero che si sono avute esperienze diverse di rinnovamento dell’amministrazione civica e che probabilmente questi modelli sono anche maggiori di due, la tendenza recente va sempre più nella direzione di integrare. Alla contrapposizione si sta sostituendo la proposta di allacciare le diverse esperienze, consapevoli che ciascuna presenta punti di forza e debolezza e, soprattutto, ognuna risponde con diversa efficacia a obiettivi differenti. Al giudizio si sta sostituendo la curiosità di vedere la capacità di queste esperienze di stare assieme. Lo si vede – ancora una volta – nella regione Lazio, la cui legge fa menzione anche delle autogestioni. Lo si vede con i regolamenti comunali sui beni comuni urbani dal forte tratto innovativo come quello di Ferrara. Anche Torino annuncia cambiamenti del proprio regolamento che vanno nella stessa direzione. Ed è anche quello che reti di cittadini, attivisti e collettività stanno provando a creare da qualche tempo a questa parte, cercando ponti anziché erigere muri. Per non parlare della straordinaria esperienza del progetto delle scuole aperte di cui la scuola Di Donato si sta facendo interprete sul piano nazionale, dopo una sperimentazione di successo avuta a Roma.
Tutto questo produce, peraltro, anche un ampliamento e un allargamento del concetto di amministrazione condivisa che Arena aveva intuito. La realtà non si è limitata a seguire la sua intuizione, ma sta andando oltre. Con gradualità ma anche con perseveranza. Che poi è il modo migliore per vedere buoni cambiamenti.

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beni comuni . . . da labsus

I distretti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni sono utili per rafforzare il disegno politico comune e strategico delle amministrazioni locali e dei cittadini attivi. Si tratta di una nuova politica che pone al centro il potenziamento delle comunità locali dando loro anche una inedita dimensione organizzata e coordinata: quella distrettuale. Gli amministratori assumono al loro interno un innovativo ruolo fondamentale: sostengono, coordinano ed integrano le esperienze di cittadini (singoli ed associati) per la cura dei beni comuni, all’interno di un disegno strategico comune, dando loro un collegamento di “senso” che altrimenti sarebbe perso nella frammentarietà ed isolamento di ognuna di esse, pur avendo intrinseci significati unificanti. Possiamo quindi far rientrare i distretti dell’amministrazione condivisa in quella forma di politica che Raghuran Rajan ha chiamato del “localismo inclusivo”.
L’importanza di questo tipo di politica risiede nel fatto che risponde a problemi di squilibri tra la dimensione locale e globale: Stato e mercato sembrano aver eroso tutti gli spazi vitali delle comunità e la politica sembra aver abbandonato sempre più il rapporto diretto con le persone, dando talora l’illusione di una vicinanza “mediatica”. Quando però le decisioni sono prese sempre più distanti dai luoghi in cui si vive quotidianamente e le scelte sono percepite lontane da ogni tipo di “periferia”, aumenta lo scollamento sociale di quest’ultime dai “centri” decisionali delle “élites”, aprendo così talora nuovi spazi a soluzioni violente e caotiche.

Tra Stato e Mercato: la terza via

Vi è però una soluzione “comunitaria”: i distretti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni possono fornire un “altro tipo” di risposte a tali problemi, ponendo nuovamente al centro l’autodeterminazione della comunità locale, la cui “regia” può essere svolta dagli amministratori locali più attenti collegando le diverse esperienze dei territori all’interno di una strategia comune di sviluppo sociale ed economico dei territori, quale quella del “localismo inclusivo”. In questo modo gli amministratori riconoscono alle comunità locali, alle persone, un “potere” di autodeterminazione che è stato loro eroso in tempi di globalizzazione. Un “potere” inteso innanzitutto come capacità di controllo delle proprie vite e della costruzione della qualità delle relazioni, ponendo al centro il “buon vivere” nei luoghi dove si è, rendendoli a misura degli abitanti, dei loro problemi, ma anche valorizzando le loro risorse personali e l’inclusività comunitaria. I distretti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni quindi rappresentano un salto di qualità anche della politica: perché rafforzano uno spazio tanto importante quanto “dimenticato”, tra Stato e Mercato.

Una scelta Politica

Sembra emergere che nei distretti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni vi sia un coordinamento, un tendenziale “fare sistema”, una visione politica sottostante, che favoriscono “comunità che apprendono” competenze civiche e sociali. Ed è proprio questo tipo di competenze acquisite che conferisce “potere” alle comunità: la possibilità/capacità di creare il nostro futuro di fronte a forze globali. Una prossimità reale, non virtuale, che nella forma del distretto per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, significa anche promuovere competenze sul come con-vivere oggi: “città che apprendono” e che creano “comunità inclusive”.
E’ necessario forse oggi più che mai coltivare più che la paura, questo tipo di coraggio, sia da parte di cittadini che amministratori: il coraggio di una nuova politica che attribuisca potere alle comunità locali e a quegli amministratori che sanno interpretare queste nuove esigenze sociali, sapendo che queste costituiscono un nuovo spazio tra Stato e mercato. Perché quando le comunità s’indeboliscono, allora il mercato diventa troppo iniquo e lo Stato troppo autoritario, come afferma Raghuram Rajan. Ricominciare dalle comunità locali è quindi una precisa scelta politica di chi innova in questo “squilibrio”… ricominciando dalle persone.

Fonte: Labsus Rossana Caselli, sociologa

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Il gruppo di lavoro è diffusamente utilizzato nelle organizzazioni lavorative sia pubbliche che private.

La sua efficacia è sempre più connessa alla capacità di renderlo un momento di scambio, confronto, partecipazione attiva, sulla base di una condivisione degli obiettivi di lavoro o altro, ma anche alla capacità di tenere insieme le difficoltà che le persone hanno nel vissuto sociale.

Nel gruppo si incrociano spinte ed esigenze individuali con richieste ed attese dell’organizzazione.

È importante che si costruiscano le condizioni affinché i diversi componenti del gruppo, con i loro ruoli e soggettività, si riconoscano nella realizzazione del mandato affidato e nel lavoro del gruppo, sperimentando soddisfazioni, condivisioni di fatiche e difficoltà.

Siamo alla ricerca di figure capaci di gestire lo sviluppo di gruppi sociali per coniugare l’analisi delle esperienze portate dai partecipanti, le  proposte e gli inquadramenti relativi alla conduzione dei gruppi, la possibilità di confrontarsi sui diversi tipi di conduzione per differenti gruppi di lavoro.

In un’era in cui sempre più le relazioni umane rappresentano un valore competitivo, il Comitato Spontaneo Trazzera Marina vuole essere un’acceleratore di relazioni al servizio dello sviluppo sociale, strumento di comunicazione e opportunità.

L’obiettivo è di raggiungere chi collabora alle idee con creatività professionalità per far nascere sinergie, collaborazioni, scambi commerciali e amicizie, consapevoli del fatto che l’economia collaborativa e di condivisione funziona, e che gli aspetti valoriali assumono importanza strategica.

In un mondo ideale, le persone guidate dal buon senso starebbero attente a non prevaricare il prossimo, ognuno dovrebbe essere in grado di esprimere naturalmente e liberamente le proprie esigenze e si darebbe  importanza ai bisogni degli altri così come ai propri.

Purtroppo non è cosi. Viviamo in una società di stampo individualistico e competitivo dove ognuno viene incoraggiato a inseguire il “proprio” obiettivo personale nella vita.

In questo non ci sarebbe niente di male sennonché la realizzazione dei propri obiettivi spesso avviene calpestando gli “spazi” delle altre persone.

Formare un team e riuscire a lavorare in armonia con persone nuove migliora il clima di lavoro e di conseguenza aumenta i vantaggi anche in termini di produttività.

L’innovazione sociale insegna ! a fare la differenza non è la natura ma la scala delle sfide che si vogliono affrontare e rispetto alle quali misurare la capacità di apportare cambiamenti positivi e duraturi che fondino, o contribuiscano a fondare, un nuovo sistema.

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siamo la popolazione più ambigua al mondo ! . . .

L’italiano patriota anarchico? Amiamo il nostro Paese, ma odiamo il suo essere nazione? L’italiano è orgoglioso di essere italiano, ma detesta «gli italiani»? E così scopriamo che l’identità italiana è uno schizofrenico miscelarsi di sentimenti contrapposti e quasi mai conciliabili.

Viaggiamo nell’ambiguità e malafede !… sempre piú si configurano come tratti dominanti della nostra epoca a livello individuale e collettivo, nelle relazioni amorose e in quelle sociali, nella politica e nella bioetica. Eludendo la verità interpersonale ed intrapsichica – sono al tempo stesso una nevrosi e un piccolo crimine, al confine tra la patologia e l’etica. Essere ambigui significa evitare il conflitto, il senso di colpa, la fatica della coerenza, lasciando convivere dentro di sé identità molteplici. Gli atteggiamenti mentali subdoli e sfuggenti nascondono falle del pensiero minime, ma non per questo innocue, in grado di inquinare, attraverso messaggi obliqui, i legami sociali, le stesse regole della convivenza civile, minando la fiducia tra i singoli come tra i gruppi organizzati, i cittadini e le istituzioni. È un dissimulare lieve, al limite tra conscio ed inconscio nel quale l’inganno viene fatto anche a se stessi. Al punto che può far scambiare la frequenza statistica con la normalità.

Eppure nel corso della storia ci sono popoli che hanno evitato di essere totalmente asserviti, cancellati. Oggi sono gli anglosassoni che dominano il mondo. Ma anche la cultura greco-romana è durata quasi duemila anni. Quella cinese ha attraversato crisi gravissime ma è sempre riemersa. Il piccolo popolo ebraico pur essendo disperso in tutto il mondo e parlando tutte le lingue ha saputo conservare le proprie tradizioni, la propria identità e la capacita di pensare, di giudicare, di decidere.

Solo chi conserva fortissima la propria identità e compattezza identitaria è in condizione di affrontare il mondo globalizzato, di muoversi e di manovrare in esso senza farsi schiacciare.

Dobbiamo quindi individuare quelle attitudini e quegli schemi che trasformino o creino situazioni diverse dalle attuali assumendo un atteggiamento, presente, attivo e consapevole.

Formare un team e riuscire a lavorare in armonia con persone nuove migliora il clima di lavoro e di conseguenza aumenta i vantaggi anche in termini di produttività.

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La fiducia reciproca è il fondamento basilare nelle relazioni umane.

Senza di essa crolla l’intera umanità.

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liberi da condizionamenti ! . . .

L’Idea di Pietro Paganini
Nei prossimi anni, l’intelligenza artificiale avrà sulle nostre vite un impatto paragonabile a quello della rivoluzione industriale o della nascita del web. Abbiamo parlato spesso dell’impatto che avrà sull’occupazione e la necessità di portare avanti nuove politiche per l’educazione e la formazione che ci preparino ad assorbire questo cambiamento di ampia portata.

PERCHÉ È IMPORTANTE? L’impatto di queste nuove tecnologie sulla società non si limiterà alla sola sfera economica, ma avrà dei forti risvolti sul piano sociale ed anche su quello politico. Il libro “Follia Artificiale” di Luca Bolognini affronta tutti questi aspetti, compreso quello giuridico, per provare a inquadrare opportunità e problematiche che si stanno già palesando nella nostra quotidianità.

SCELTE UMANE VS. SCELTE ARTIFICIALI La differenza tra l’uomo e la macchina si basa anche sul concetto di scelta. Mentre l’intelligenza artificiale che guida i robot compie scelte logiche perché fondate su un algoritmo, quella umana compie scelte in modo responsabile. Noi siamo limitati nel calcolare tutte le possibili variabili prima di decidere, le macchine potrebbero non esserlo. Non è più la nostra logica, quella che intrigò anche Aristotele. Quando gli algoritmi saranno progettati da altri algoritmi la logica sarà quella dell’intelligenza artificiale.

LA LIBERA SCELTA PREVALE La tecnologia non determina ciò che siamo o facciamo, semmai lo condiziona. Le regole per la convivenza servono anche a tutelare i rapporti uomo-macchina e le libere scelte degli individui, affinché non la tecnologia non diventi una imposizione. Seppur condizionato l’uomo deve compiere scelte, e non subirle. Questo è uno dei pilastri fondamentali di cui è obbligatorio tenere conto. Le regole non devono bloccare l’innovazione o limitarla. Piuttosto esse devono essere armonizzate con essa e stare al passo dei cambiamenti anche nei rapporti tra esseri umani e tra questi e la tecnologia.

NO ALLA DISTOPIA  ll rifiuto del determinismo non equivale alla condanna della tecnologia. I robot e la loro intelligenza di plastica non devono essere visti come qualcosa di malvagio. Al contrario, sono uno strumento per risolvere problemi e per migliorarci la vita. Una risposta alla necessità.

QUALE POTERE? Nella concezione Taylorista uomo e macchina operano congiuntamente. Nella fase storica in cui ci stiamo addentrando le macchine stanno maturando una vita autonoma che rischia di sfuggire al controllo e alla comprensione dei cittadini, o almeno alla maggior parte di essi. Come se ci fosse un’alleanza tra macchine e gruppi limitati di soggetti, che spesso sono aziende globali o addirittura governi. Come intervenire per ribaltare questa visione? Rendendo i cittadini protagonisti delle trasformazioni e dando loro gli strumenti per gestirla e assimilarla. Sarà sufficiente?

IL METODO SPERIMENTALE PER CONVIVERE Il testo propone un’analisi attenta dell’evoluzione sociale, economica e tecnologica. Una realtà che rischia di essere o di diventare presto artificiale. Il superamento dello storicismo è evidente perché il libro offre un metodo sperimentale, cioè la scienza, per comprendere il cambiamento, ed individua nel bilanciamento tra diritti e doveri la via per tutelare e favorire la libertà e la convivenza tra individui e, per la prima volta, tra individui e macchine.

L’AI è una straordinaria opportunità che trasformerà il modo in cui viviamo. Come lo farà non dipende dalla tecnologia, ma da l’uso che ne faremo. Il primo passo è diagnosticare i potenziali problemi e a munirci degli strumenti per individuare rapidamente le soluzioni.

Fare parte di in un team e riuscire a lavorare in armonia con persone nuove migliora il clima di lavoro e di conseguenza aumenta i vantaggi anche in termini di produttività.

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Abbiamo dei progetti ! da realizzare ! 

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solo volontà di annientamento . . .

Scritto da https://starsailor.it/

Il mondo sociale che ci contiene e dal quale, di conseguenza, non è possibile sfuggire, ci separa da noi stessi. Siamo costretti a tenere ritmi assurdi, ripetendo all’infinito le stesse azioni, travolti dalla routine quotidiana. il proprio “Io” viene ridotto ai minimi termini. Sono Io se non ho un lavoro?  Sono Io se non seguo i dettami della moda? Sono Io se non desidero ciò che gli altri desiderano? Quanto vale il nostro Io?

Gli uomini si sentono poveri e soli al di fuori del sociale. Ma l’uomo è molto più di ciò che appare nel mondo sensibile e la sua povertà diventa nullità estrema se non esiste qualcuno, una persona, almeno una persona che possa infrangere le regole, penetrarlo nel profondo e dire: “io ti capisco”. “Ti” capisco. Per una volta non vogliamo capire, vogliamo invece essere capiti. Cerchiamo nel “tu”, il proprio “io”. Disperatamente.

La società non ha bisogno di poeti. Non è casuale il degrado delle scienze umanistiche in favore di quelle tecnologico-ingegneristiche. Alla società non serve una persona che sappia sognare, serve invece qualcuno che sappia ubbidire, svolgere compiti, seguire regole. In questa inevitabile reazione a catena la poesia dell’anima lascia il posto all’ossessione per la carne, che nulla ha a che fare con il desiderio autentico, se non che quando amiamo la carne, penetriamo il corpo tentando, bramando la penetrazione dell’impenetrabile: l’anima; il nostro “Io” più profondo, quello strettamente connesso alla follia, che oscilla fra ragione e sentimento.

«L’amore inizia dove la bestialità finisce.»
Platone – Simposio

Anche la sessualità è innanzitutto un impulso irrazionale, perché il sesso è un atto di pro-creazione, un impulso che preme dal nostro lato bestiale e irrefrenabile, nello stesso tempo legato alla follia, ma che si mescola al desiderio di afferrare qualcosa che va oltre il corpo, oltre la tangibilità della carne: il desiderio originario che, impossibile da palpare nell’intelligibile, tentiamo di afferrare e stringere a noi nello stesso modo in cui stringiamo il corpo che stiamo amando. Sì cerca qualcuno che riesca a frantumare, non il corpo, ma la porta saldata del nostro raziocinio, facendoci sprofondare nella follia. La follia più radicale che va oltre la semplice dimensione della patologia: “il sonno della ragione”, ma non solo. Il corpo dell’altro diventa il veicolo sensibile attraverso il quale possiamo toccare, esplorare e perderci inevitabilmente in noi stessi; nelle profondità della nostra anima.

«La follia è tanto superiore alla sapienza in quanto la prima viene dagli dei, la seconda dagli uomini.»
Platone – Fedro

La follia dell’amore porta la dimensione dell’uomo alla sua vera natura. E qual è la vera natura dell’uomo? Debolezze, ossessioni, irrazionalità, caos. Tutte quelle caratteristiche che da sempre ci appartengono e che la nostra ragione tenta di tenere al guinzaglio. Nel momento stesso in cui amiamo, ci abbandoniamo all’imprevedibile. Possiamo davvero amare ragionando? I discorsi e le azioni degli innamorati dal punto di vista logico sono incoerenti. Cercano conferme logiche a comportamenti illogici. Giurano come se non fosse vero ciò che provano. Vogliono sentimenti credibili ma li dicono con parole incredibili. Cosicché si ama “per sempre”, “alla follia” tant’è che la capacità di innamorarsi è inversamente proporzionale al controllo razionale che l’individuo riesce ad avere di sé. Il deficit della propria parte folle, viene compensato per mezzo dell’oggetto del desiderio: un pasticcio che può portare all’oblio.

Affidandoci a qualcuno per violare la nostra parte più nascosta e incontrollabile, ci lasciamo penetrare da un estraneo che, per la stessa natura umana e del sentimento che lo veicola, ha come scopo lo sconvolgimento di ciò che siamo. Lo scopo non è la comprensione, come può esserci comprensione in ciò che è folle? C’è invece il tentativo (appunto, folle) di plasmare l’altro a immagine e somiglianza dei propri indefiniti desideri. Ma cos’è il volere che qualcosa sia esattamente come vogliamo, che una persona sia diversa da ciò che essa è, al di la delle presunte intenzioni, se non volontà di annientamento?

Amore non è condivisione, non è cura: è distruzione delle barriere che separano nettamente la follia dalla ragione. Amore è: volontà reciproca di distruggere l’Io cosciente. Cosicché quando torniamo alla ragione, siamo demoliti, sconvolti nel profondo, perché per un istante (o una vita), abbiamo guardato negli occhi la follia che risiede nel nostro subconscio.

Ma è un passo necessario: non si può pretendere di conoscere alcunché, se non si prende innanzitutto coscienza dell’irrazionalità che è presente dentro di noi. La stessa irrazionalità che ci illude di poter comprendere o prevedere i comportamenti delle persone, guidate anch’esse da proprie dimensioni egoiche, smisuratamente folli e imperscrutabili.

Quando accade, quando la ragione riesce a prevalere, ci avviciniamo di qualche passo al nostro esser uomo. Altrettanto ci allontaniamo dal divino.

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toh ! . . . un progetto di rete ! . . . welfare aziendale . . .

Un progetto di rete fra Comuni dei Nebrodi, imprese e terzo settore, centrato sul welfare aziendale in declinazione territoriale, che vede tra i partner tutti i Comuni della zona Nebroidea.

Il sistema necessita di una intensa attività di comunicazione e diffusione, per favorire il cambiamento culturale rispetto all’ottica di partenza di tutti i soggetti coinvolti (passare dalla cultura dei soldi in busta paga a quella dell’acquisto/rimborso servizi con aumento del valore) e successivamente per mantenerlo attivo e dinamico.

Il progetto si deve dotare di una consulenza professionale in tema di diritto del lavoro e di implementazione dei piani welfare nella azienda, per garantire certezza giuridica e operativa alle imprese.

L’importante è che queste finalità siano dichiarate, è una questione di trasparenza che poi a sua volta contribuisce a generare fiducia. Il nocciolo centrale del  benessere  è - il lavoro - per questo si deve provare ad implementare progetti nel welfare aziendale - oggetto di comune interesse in grado di consentire ai soggetti pubblici, al Terzo Settore,  ai privati, di metterci attorno ad un tavolo per iniziare a capire come strutturarle.

Elemento importante è il lavoro di coordinamento di rete, i soggetti coinvolti, pubblici e privati, si devono incontrare periodicamente, si confrontano, coordinano le prassi in un’ottica di sviluppo e innovazione.

Progettare una piattaforma di gestione del welfare aziendale da offrire alle aziende del territorio, quelle grandi, ma anche quelle di piccole e piccolissime dimensioni.

Il sistema deve consentire l’accesso anche alle aziende molto piccole - esempio - ipotizziamo un’azienda di 3 dipendenti che abbia un lavoratore col papà in casa di riposo o che necessita di badante. Con questo progetto l’azienda potrebbe aderire alla piattaforma e il lavoratore giovarsene.

 Vogliamo accendere tante luci sul territorio

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beni comuni per una società della cura . . .

La partecipazione dei cittadini in funzione di una società più inclusiva che risponda a nuovi bisogni e generi forme di democrazia attiva -amministrazione condivisa come possiamo coadiuvare questo sforzo che nasce dall’orgoglio di cittadini attivi.

 Esiste un filo che tiene insieme queste parole, con cui è possibile disegnare una nuova concezione della vita associata, una nuova idea di comunità. Naturalmente non si tratta di un mondo perfetto, né di una soluzione esclusiva, ma di una prospettiva nuova e creativa che nella complessità della società contemporanea riesce a tracciare una rotta nel mare dell’incertezza per aprire l’immaginazione sociale a nuove frontiere.

La cultura è forse il terreno ideale su cui costruire questo nuovo stato di fatto perché predispone al dialogo, premessa di fertili contaminazioni alla comprensione reciproca e alla nascita di un nuovo punto di vista “culturale” condiviso. Dalla cultura ai beni comuni il passo non è lungo. I beni comuni sono beni necessari per la soddisfazione dei diritti fondamentali delle persone e sono estranei a logiche mercantili; quelli immateriali, poi, rispondono a necessità ancora più profonde che hanno a che fare con la natura delle persone. Più in generale, il prendersi cura dei beni comuni, che si tratti di un parco o di altro ha a che fare con “il nostro essere cittadini”, attivi e responsabili. Quello culturale è quindi un bene che trova inizialmente la propria ragion d’essere nella comunità territoriale, perché ne esprime l’identità, tende poi ad attraversare le generazioni e a trascendere la materialità del bene, sfumando oltre i confini fisici e politici in un’idea più astratta e universale di cultura, in cui si rispecchia l’umanità intera.

Il tutto risiede nella capacità di mobilitare, comporre e coordinare le iniziative e le azioni che maturano e sorgono dalla base sociale in forma di partecipazione (volontariato e attivismo civico) alla cura dei beni comuni e che prendono forma in contesti comunitari ad alta intensità relazionale e promiscuità culturale. In una società plurale, la sussidiarietà regola l’interazione sociale tra individui, gruppi e istituzioni in funzione di un interesse generale – mediando bisogni individuali e collettivi – sulla base del principio di autonomia e di corresponsabilità.

Dobbiamo quindi individuare quelle attitudini e quegli schemi che trasformino o creino situazioni diverse dalle attuali assumendo un atteggiamento, presente, attivo e consapevole.

Formare un team e riuscire a lavorare in armonia con persone nuove migliora il clima di lavoro e di conseguenza aumenta i vantaggi anche in termini di produttività.

L’innovazione sociale insegna ! a fare la differenza non è la natura ma la scala delle sfide che si vogliono affrontare e rispetto alle quali misurare la capacità di apportare cambiamenti positivi e duraturi che fondino, o contribuiscano a fondare, un nuovo sistema.

Da soli non ci si salva !!     

con il buonsenso possiamo costruire le condizione per condivisione e meritocrazia.      

           accelerare l’innovazione e sviluppare Il buon senso

Cerchiamo volonterosi per costruire un pezzo di mondo migliore, una piccola Comunità impegnata ad inventare nuovi modi di pensare, abitare e vivere, aprirsi al lavoro produttivo.Abbiamo idee e progetti ! da proporre ! 

Creare una squadra di persone curiose, creative ed intraprendenti che prima di tutto vogliono scoprire il mondo e fornire le migliori risposte ai problemi che incontrano.

CURIOSI - CREATIVI - INTRAPRENDENTIATTIVI NEL REALIZZARE

Dalle visioni alle strategie, dalle strategie ai progetti - alle realizzazioni.

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Sulle Competenze 4.0 Non Ci Siamo

Fonte: Competere – di Giacomo Bandini

La Legge di Bilancio 2019 non affronta il nodo delle competenze e della formazione 4.0. Le imprese saranno nuovamente isolate nell’affrontare questo problema. Niente rivoluzione, per ora. Con il rischio di perdere l’inerzia del cambiamento tecnologico e non essere competitivi a livello internazionale.

Diverse imprese e relative associazioni di categoria stanno lamentando la carenza di investimenti per l’innovazione nella Legge di Bilancio 2019, attualmente in discussione presso il Parlamento. Dopo il parziale successo del Piano Industria 4.0, molto poco è stato fatto per ridurre il gap fra la domanda e l’offerta di competenze digitali sul mercato. Come si sta muovendo l’attuale Governo alle prese con una difficile manovra economica?PERCHÉ È IMPORTANTE   La produttività è uno degli indicatori fondamentali per capire l’efficienza e le performance di un sistema economico. Essa è legata profondamente al livello di innovazione e cambiamento tecnologico sia dal punto di vista dello stock di capitale sia da quello del capitale umano. In Italia negli ultimi 7 anni l’indice di produttività è cresciuto molto meno rispetto alle altre grandi economie europee. Ciò ha limitato la portata dell’implementazione dei nuovi fattori di produzione Industria 4.0.BILANCIO E INNOVAZIONE 2019 La Legge di Bilancio 2019 dedica pochi articoli agli investimenti per l’innovazione nel settore digitale e Industria 4.0. Le risorse maggiori riguardano soprattutto l’incentivo all’acquisto di macchinari grazie alla proroga dell’iperammortamento. Nulla di incisivo è previsto sul piano delle competenze e della formazione.  Si continua a stimolare la domanda di mezzi produttivi, con il rischio di saturazione del mercato, ma nulla viene introdotto per diminuire le difficoltà delle imprese nella ricerca di skill digitali né incentivare attività di formazione 4.0.L’INEFFABILE VOUCHER MANAGER   L’unica misura che sembra guardare al capitale umano riguarda il cosiddetto “voucher manager”. Una figura ibrida che dovrebbe assomigliare a un manager dell’innovazione di cui però non si capiscono bene le funzioni. Per realizzare questa mini-policy vengono messi a disposizione 40.000 euro per ogni impresa aderente tramite un apposito voucher e 80.000 euro per le reti d’impresa.Le possibili conseguenze della manovra sul comparto Industria 4.0:

  • industrie ammodernate solo nel parco macchine,
  • mercato dei macchinari stagnante (hanno già investito il possibile con i vecchi sgravi) soprattutto per le PMI,
  • scarsi miglioramenti della produttività dovuti a carenza di capitale umano interno,
  • maggiore ricorso a consulenze e personale esterni.

Sembra, quindi, che la montagna abbia partorito il topolino. Sicuramente le aziende italiane scontano un deficit di managerialità per quanto riguarda i processi di innovazione e automazione. Tuttavia non viene affrontato il nodo principale. Le competenze digitali toccano un ampio raggio di figure professionali e, soprattutto, riguardano l’intero sistema aziendale. Con questa misura viene incentivata soprattutto l’acquisizione di figure esterne alle organizzazioni che non garantiscono né incentivano cambiamenti significativi nella strategia complessiva delle medesime.

Come è stato già sottolineato, le difficoltà maggiori per un’impresa riguardano l’introduzione di un set intero di figure chiave (tecniche, manageriali, impiegatizie) che contribuiscano alla trasformazione digitale. Siano esse formate da nuovo personale o da lavoratori riqualificati. La Legge di Bilancio 2019 non sembra andare in questa direzione. In questo modo l’Industria 4.0 è destinata a rimanere una rivoluzione a metà.

Fonte : competere G. Bandini

Dobbiamo quindi individuare quelle attitudini e quegli schemi che trasformino o creino situazioni diverse dalle attuali assumendo un atteggiamento, presente, attivo e consapevole.

Formare un team e riuscire a lavorare in armonia con persone nuove migliora il clima di lavoro e di conseguenza aumenta i vantaggi anche in termini di produttività.

L’innovazione sociale insegna ! a fare la differenza non è la natura ma la scala delle sfide che si vogliono affrontare e rispetto alle quali misurare la capacità di apportare cambiamenti positivi e duraturi che fondino, o contribuiscano a fondare, un nuovo sistema.

Da soli non ci si salva !!     

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Cerchiamo volonterosi per costruire un pezzo di mondo migliore, una piccola Comunità impegnata ad inventare nuovi modi di pensare, abitare e vivere, aprirsi al lavoro produttivo.Abbiamo idee e progetti ! da proporre ! 

Creare una squadra di persone curiose, creative ed intraprendenti che prima di tutto vogliono scoprire il mondo e fornire le migliori risposte ai problemi che incontrano.

CURIOSI - CREATIVI - INTRAPRENDENTIATTIVI NEL REALIZZARE

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tiriamo fuori la razionalità . . . ricerca in campo sociale.

La razionalità è caratterizzata da varie dimensioni di tipo strumentale, utilitaristico, una volta definita come «razionalità ordinaria», trova la sua unitarietà come struttura generale del comportamento umano.

Ciò pone il problema del collegamento tra l’idea generale di razionalità e le sue varie dimensioni. Le motivazioni intenzionali non sono le sole a influenzare le decisioni individuali. Tuttavia, si tratta ancora di decisioni intenzionali, in parte determinate da tendenze inconsce. Può essere anche il caso di quando le persone agiscono in modo opposto alle loro intenzioni.

Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino.

C. Jung

Dobbiamo quindi individuare quelle attitudini e quegli schemi che trasformino o creino situazioni diverse dalle attuali assumendo un atteggiamento, presente, attivo e consapevole.

Formare un team e riuscire a lavorare in armonia con persone nuove migliora il clima di lavoro e di conseguenza aumenta i vantaggi anche in termini di produttività.

L’innovazione sociale insegna ! a fare la differenza non è la natura ma la scala delle sfide che si vogliono affrontare e rispetto alle quali misurare la capacità di apportare cambiamenti positivi e duraturi che fondino, o contribuiscano a fondare, un nuovo sistema.

Da soli non ci si salva !!     

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CURIOSI - CREATIVI - INTRAPRENDENTIATTIVI NEL REALIZZARE

Dalle visioni alle strategie, dalle strategie ai progetti - alle realizzazioni.

La fiducia reciproca è il fondamento basilare nelle relazioni umane.

Senza di essa crolla l’intera umanità.

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