“Ricerca” agirare gli ostacoli !

Perché abbiamo la tendenza a considerare i problemi come ostacoli piuttosto che sfide?

In realtà, si tratta di una visione che ci ha trasmesso la società occidentale, una società che promuove i valori competitivi e individualistici, che si concentra sul raggiungimento degli obiettivi personali, a dispetto del gruppo e degli interessi e delle necessità altrui. Pertanto, tutto intorno a noi è progettato per farci perseguire degli obiettivi specifici e assumere che tutto ciò che si mette in mezzo, sono ostacoli.
Tuttavia, quando smettiamo di considerare la vita come una mera conquista di obiettivi e cominciamo a comprenderla come un cammino, i problemi non saranno più semplici ostacoli, ma delle opportunità di crescita. Quando non abbiamo più l’ossessione di dover arrivare quanto prima ad un punto determinato, ma abbiamo l’intenzione di goderci il viaggio e approfittarne al massimo, i problemi assumono un’altra dimensione, diventano opportunità.
In questo senso, la visione degli imprenditori cinesi è particolarmente illuminante. Queste persone non hanno paura della concorrenza, al contrario, credono che sia sana e utile. Non considerano nessun altro imprenditore come un ostacolo per la propria attività, ma come un’opportunità per migliorare i loro affari; la concorrenza diventa un incentivo per il cambiamento e, se le vendite calano, non incolpano gli altri, ma si chiedono cosa possono fare per invertire questo effetto e tornare a crescere.
I problemi: Una sfida da superare

Pensare ai problemi in termini di sfida non è solo un cambiamento di termini. Sostituire “risolvere” per “superare” non è solo una trasformazione a livello di linguaggio, ma implica un livello molto più profondo di cambiamento di atteggiamento e visione del mondo.
In realtà, le persone che coltivano la resilienza, che sanno affrontare le avversità e uscirne rafforzati, non sono le più forti o le meglio preparate, ma quelle che affrontano i problemi come fossero delle sfide, convinte che la situazione permetterà loro di crescere.
Queste persone non cercano disperatamente di tornare alla loro vecchia zona di comfort, ma quando finalmente riescono a superare il problema, crescono. Così, la zona di comfort in cui si sentono a proprio agio, diventa sempre più grande e saranno meno le cose che gli faranno male o che le faranno sentire a disagio.
In uno studio realizzato presso il Boston College, sono state reclutate un certo numero di persone e si è chiesto loro di preparare un discorso. Gli era stato detto che sarebbero stati valutati per le loro prestazioni e la tensione generata. Nel frattempo, si monitoravano le loro funzioni vitali. Il dato interessante è che ad alcune persone l’attività venne presentata come una sfida, in una luce positiva, mentre agli altri come un problema.
Gli psicologi riscontrarono che presentare le situazioni stressanti come delle sfide non solo migliorava la performance finale dei partecipanti, ma permetteva anche loro di controllare meglio lo stress. In loro, gli indicatori come la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna, tornavano rapidamente alla norma, mentre che nel gruppo che considerava l’attività come un problema, questi indicatori restavano ben oltre i limiti normali.
Così, superare un problema significa non solo risolverlo, ma anche imparare la lezione. Non si tratta semplicemente di voltare pagina, ma integrarla nella nostra storia, dare un senso a ciò che è accaduto e incorporarlo nella nostra esperienza di vita. In questo modo ci arricchiamo come persone. Pertanto, è meno probabile che torneremo a inciampare due volte nella stessa pietra, perché abbiamo acquisito un quadro molto più completo della situazione e, quindi, dei fattori che ci hanno condotto ad essa.
Perché è così importante il cambiamento di prospettiva?

I problemi non sono fattori esterni, ma dicono sempre qualcosa di noi, i problemi non esistono al di fuori di ciò che siamo. Infatti, ciò che in alcune fasi della vita ci può sembrare un problema di proporzioni gigantesche, perché non abbiamo le risorse psicologiche per affrontarlo, in futuro si può trasformare addirittura in una situazione che ci fa sorridere.
Pertanto, i problemi non sono in realtà un ostacolo esterno, ma l’espressione di una qualche paura, insicurezza, mancanza o un di un proprio limite. Da questo punto di vista, il problema non è una pietra che possiamo togliere facilmente dal sentiero senza tornare a pensarci, ma è un segnale che ci avverte di un deficit molto più profondo e, quindi, un’opportunità di trasformarci in persone più forti.
Fonte:

Tugade, M. N. & Fredrickson, B. L. (2004) Resilient individuals use positive emotions to bounce back from negative emotional experiences. Journal of Personality and Social Psychology; 86(2): 320-333.

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Politica – dell’istruzione – dell’educazione – del sapere –

Chi viaggia per il mondo si accorge di quanto la natura umana sia dovunque la stessa, cosi in India come in America, cosí in Europa come in Australia. Questo è specialmente vero nel settore delle scuole superiori e delle Università.

Andiamo producendo, quasi usassimo uno stesso stampo, un tipo di essere umano il cui interesse preminente è di trovare la sicurezza, di diventare un personaggio importante, o di passarsela bene con il minimo possibile di pensieri. L’educazione convenzionale rende estremamente difficile pensare con spirito d’indipendenza. Il conformismo conduce alla mediocrità. Essere differente dal gruppo o resistere all’ambiente non è facile ed è spesso rischioso, se ciò che idoleggiamo è il successo.

Risultati immagini per vignette sulla riproduzione umana

Il desiderio di successo, cioè la ricerca di una ricompensa nella sfera materiale o in quella cosiddetta spirituale, l’aspirazione alla sicurezza interiore o esteriore, l’amore delle comodità, tutto ciò soffoca lo scontento, mette fine alla spontaneità e genera paura.

La paura blocca l’intelligente comprensione della vita. Col crescere dell’età, s’instaura in noi la pigrizia della mente e del cuore. Nella ricerca della comodità ciò che generalmente troviamo è un quieto angolo di vita dove c’è un minimo di conflitti, e noi allora diventiamo timorosi di uscire da quel rifugio. Questa paura della vita, questa paura della lotta e dell’esperienza nuova, uccide in noi lo spirito d’avventura; il modo in cui siamo stati allevati ed educati ci ha resi timorosi di essere differenti dal nostro vicino, paurosi di pensare in modo contrario ai modelli fissati nella nostra società, falsamente rispettosi dell’autorità e della tradizione.

Sono in pochi capaci di  un serio impegno, desiderosi di esaminare i nostri problemi umani senza pregiudizi di destra o di sinistra; ma la gran maggioranza di noi non possiede nessuno spirito di scontentezza, di rivolta. Cediamo senza accorgercene alle pressioni dell’ambiente, quello spirito di rivolta che possiamo aver nutrito è subito spento, e le nostre responsabilità ne fanno dileguare presto ogni traccia.

La rivolta è di due specie: c’è la rivolta violenta, che è mera reazione, senza intendimento, contro l’ordine esistente; e c’è la profonda rivolta psicologica della intelligenza. Vi sono molti che si rivoltano contro le ortodossie stabilite solo per cadere in nuove ortodossie, per abbandonarsi ad ulteriori illusioni e per indulgere ancora segretamente a se stessi. Ciò che generalmente accade è che noi rompiamo con un gruppo di ideali per abbracciarne altre, creando caos un nuovo modello di pensiero contro cui dovremo ancora rivoltarci.

La reazione genera solo opposizione e la riforma esige ulteriore riforma. Ma c’è una rivolta intelligente che non è reazione, è il frutto della conoscenza di sé per raggiungere tramite la consapevolezza del proprio pensiero e del proprio sentimento. Essa si produce soltanto quando affrontiamo l’esperienza com’è e non rifuggiamo dal tenere acutamente sveglia l’intelligenza: l’intelligenza acutamente sveglia è intuizione, che è la sola vera guida nella vita.

Ora, qual è il significato della vita ? Per cosa viviamo e lottiamo ? Se il fine per cui veniamo educati è solamente quello di distinguerci, di procurarci un migliore impiego, di riuscire piú efficienti, di conseguire un piú ampio dominio sugli altri, allora le nostre vite saranno superficiali e vuote.

Se veniamo educati soltanto per divenire scienziati, o specialisti votati alla pura conoscenza, allora finiremo col contribuire alla distruzione e alla miseria del mondo.

Se esiste un significato della vita piú alto e piú vasto, a che vale la nostra educazione se non giungiamo mai a scoprirlo ? Possiamo aver ricevuto la piú squisita educazione, ma se non v’è in noi una profonda integrazione di pensiero e sentimento, le nostre vite sono incomplete, contraddittorie e agitate da molti timori; e finché l’educazione non coltiva una visione integrata della vita, essa ha certo assai scarso significato.

Nel presente abbiamo diviso la vita in così numerosi compartimenti separati che l’educazione ha ben poco senso fuori dal semplice apprendimento di una particolare tecnica o professione.

Anziché svegliare l’intelligenza integrata dell’individuo, l’educazione lo incoraggia a conformarsi a un modello ed ostacola cosí la sua comprensione di se medesimo come processo totale. Il tentativo di risolvere i molti problemi dell’esistenza ai loro rispettivi livelli, isolati come sono in categorie diverse, indica una decisa mancanza di comprensione.

L’individuo è fatto di entità diverse, ma accentuare le differenze e incoraggiare lo sviluppo di tipi definiti ci avvolge in complicazioni e contraddizioni. L’educazione dovrebbe realizzare l’integrazione di queste entità separate: infatti, senza integrazione, la vita diventa una serie di conflitti e di dolori. Che valore ha l’abilità acquisita da un avvocato se serve a perpetuare la litigiosità ? Che valore ha la conoscenza che ci mantiene in uno stato di confusione ? Che significato hanno le capacità tecniche e industriali se le impieghiamo a distruggerci a vicenda? A che serve la nostra esistenza se porta alla violenza ed alla desolazione? Pur potendo avere danaro o la capacità di guadagnarlo, pur potendo avere le nostre gioie e le nostre religioni organizzate, noi siamo in perpetuo conflitto.

Dobbiamo distinguere fra il personale e l’individuale. Il personale è l’accidentale, e per accidentale intendiamo le circostanze della nascita, l’ambiente in cui ci siamo trovati a venir allevati, con il suo nazionalismo, le sue superstizioni, le sue distinzioni di classe ed i suoi pregiudizi.

Il personale o accidentale è soltanto momentaneo, sebbene si tratti di un momento che può durare la vita intera. E poiché il presente sistema di educazione è basato sul personale, sull’accidentale, sul momentaneo, esso conduce a pervertire il pensiero e a inculcare paure autodifensive. Tutti noi siamo stati avviati dall’educazione e dall’ambiente a cercare il guadagno personale e la sicurezza, ed a combattere per noi stessi.

A dispetto delle piacevoli frasi con cui lo mascheriamo, il sistema entro il quale siamo stati educati ad esercitare le nostre svariate professioni è fondato sullo sfruttamento e su paure inculcate. Un siffatto tirocinio deve inevitabilmente comportare confusione e miseria per noi stessi e per il mondo, giacché, crea in ciascun individuo quelle barriere psicologiche che lo separano e lo mantengono isolato dagli altri.

L’educazione non è soltanto questione di allenamento mentale. Allenare la mente dà efficienza, ma non completezza. Una mente soltanto esercitata è la continuazione del passato, e non può mai scoprire il nuovo. E » per questo che, per trovare che cosa sia la retta educazione, noi dovremo indagare quale sia l’intero significato della vita. Per gran parte di noi, il significato della vita come un tutto non è cosa di importanza primaria, e la nostra educazione accentua valori secondari, limitandosi a farci progredire in qualche branca della conoscenza.

Sebbene conoscenza ed efficienza siano necessarie, dar loro la preminenza produce solo conflitto e confusione. Esiste un’efficienza ispirata dall’amore che giunge ben piú lontano ed è ben piú grande dell’efficienza dell’ambizione; e senza l’amore che reca una comprensione integrata della vita, l’efficienza produce brutalità. Non è forse questo che avviene ora in tutto il mondo? La nostra presente educazione si innesta sull’industrializzazione e la guerra, avendo per scopo principale lo sviluppo dell’efficienza; e noi siamo afferrati in questo ingranaggio di competizione spietata e di distruzione reciproca.

Se l’educazione porta alla guerra, se essa ci insegna a distruggere o essere distrutti, il suo fallimento non è completo? Per realizzare la retta educazione, dobbiamo ovviamente comprendere il significato della vita nella sua interezza, e a questo scopo dobbiamo esser capaci di pensare non con rigore logico, ma con franchezza e verità.

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cerchiamo di iniziare a fare un percorso di gruppo

Dobbiamo scontrarci con un ambiente sempre più instabile. Ne consegue che l’assetto organizzativo necessita di continue modifiche per adattarsi alle spinte esterne, per questo la tendenza a costruire strutture molto flessibili non può trascurare qualità nelle risorse impiegate.

Un’ottima soluzione che risponde a queste esigenze è la divisione del lavoro in team.

Il gruppo di lavoro è un elemento essenziale per favorire il business, sia che si tratti di avviare una startup, che di lavorare in una grande o piccola azienda, perché costituisce un’importante forma di organizzazione dei compiti e dei ruoli e aiuta ad individuare obiettivi e metodi per raggiungerli.

L’essenza di ogni organizzazione (anche politica) è quella di unire le proprie forze per raggiungere un obiettivo comune, che però non sempre si traduce in un lavoro di squadra. Spesso ci si ritrova a lavorare si in un ambiente unico, ma ognuno percorre la propria strada da solo per diversi motivi. Lavorare in gruppo significa seguire invece un percorso insieme nel gruppo non prevalgono le capacità del singolo, poiché ognuna di esse deve trovate il modo di convergere in una nuova entità, appunto il team, che ha uno spirito tutto suo. Il potenziale del team non è dato dalla somma delle caratteristiche dei singoli componenti, ma è l’unione stessa per lavorare ad un intento comune, con una mentalità comune, verso un obiettivo comune, costruendo e favorendo una strategia comune che crea il valore aggiunto, che potremmo identificare come la forza del gruppo di lavoro.

Lavorare in gruppo non è sempre facile. Siamo abituati a considerare l’uomo un essere “sociale”, ma non è detto che il meglio di ognuno di noi si esprima secondo le stesse dinamiche relazioni. Anche se può sembrare strano, nella realtà si riscontrano spesso forti caratteri individualisti, che costituiscono la virtù delle persone che ne sono dotate, le stesse che però faticano molto a lavorare sincronicamente con le altre o accettare di non dover competere con chiunque.

E’ necessario, quindi, dotarsi di una strategia di selezione e di formazione adeguate che consentano di educare alle dinamiche di gruppo, senza ignorare le premesse che abbiamo appena fatto.

Nei grandi gruppi -e non solo- sono state introdotte attività para-lavorative con lo scopo di favorire le relazioni tra i dipendenti. Attraverso l’aiuto di formatori professionisti si ritiene possibile aiutare i fenomeni di aggregazione che non nascono sempre spontaneamente, ma che sono indispensabili per un buon gruppo di lavoro, quindi occorre eventualmente stimolarli.

Per esempio, il team building comprende attività di qualsiasi tipo sulla scorta di queste considerazioni e organizza giochi di simulazione, rompicapi di logica o qualsiasi altro esercizio che costringe i partecipanti a cercare soluzioni efficaci nel minor tempo possibile, quindi lavorando insieme in maniera metodica.

Vi aspettavate di leggere una serie di regole sulla composizione del team ideale?
È impossibile scriverle, perchè ogni idea, ogni organizzazione, ogni attività ma soprattutto ogni obiettivo, ha bisogno di competenze diverse..

Non esistendo idee uguali alle altre, persone che pensano a quelle idee allo stesso modo, tendenze ed esperienze uguali, ogni organizzazione che intende raggiungere efficacemente gli obiettivi, si impegna a ricercare persone con abilità molto diverse tra loro, capaci di diversificare e completare il gruppo, capaci quindi sia di competere che di cooperare con gli altri.

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coinvolgimento giovani ed istituzioni per uno stato di diritto

Per contrastare tale pervasivo momento e fuorviante influenza, è indispensabile il coinvolgimento delle forze sane della società e, in specie, delle giovani generazioni affinchè acquisiscano piena consapevolezza dell’assoluta necessità di contrastare ogni forma di condizionamento, di subdola insinuazione e di aperta sopraffazione,  «L’esempio di dirittura morale e di impegno coraggioso fino all’estremo sacrificio di Giovanni Falcone è stato e continua a essere fondamentale stimolo a resistere alle intimidazioni della mafia e a diffondere una rinnovata fiducia nello stato di diritto»,

Siate esigenti, intransigenti, non solo con chi vi sta attorno ma anche con le istituzioni e chi li rappresenta. C’è sempre un percorso di sacrificio che non deve dare alibi. Lì dove arretrano la scuola – la famiglia, dove si indeboliscono le imprese e il lavoro -  si crea un vuoto dove il malaffare e le prevaricazioni si annidano.

Prevenire ( è meglio che curare !!!) soprattutto la corruzione che è la principale fonte di cedimento ed istradamento verso il malaffare.

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Annuncio start to be

Startup: via alla seconda edizione del bando “Start To Be Circular”

Sostenibilità, riciclo e innovazione i concetti su cui puntare per vincere. Ci si può candidare fino al 3 novembre 2017

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03 luglio 2017

Il nuovo bando “Start to Be Circular” (#Start2BeCircular) è promosso da Fondazione Bracco, Fondazione Giuseppina Mai di Confindustria e Banca Prossima, con il supporto di Comune di Milano, Speed Mi Up, Fondazione Accenture e Federchimica ed ha l’obiettivo di promuovere la transizione verso una crescita sostenibile attraverso iniziative imprenditoriali innovative che impattino su importanti fasi del ciclo economico-produttivo, contribuendo a ridisegnare così il rapporto tra business e ambiente. Il bando vuole favorire anche l’imprenditorialità tra i giovani, nella convinzione che, per costruire un futuro sostenibile, due assi portanti siano appunto l’imprenditorialità giovanile e un’economia sempre più circolare.

Il bando si rivolge a startup già iscritte al Registro delle Imprese, oppure team di persone fisiche che intendono costituire entro 4 mesi dalla data di conclusione del Bando una startup in Italia, anche se residenti all’estero o di nazionalità straniera. Le due startup più innovative, solide e internazionali vinceranno un premio complessivo di 10.000 euro a cui si aggiunge per le prime tre classificate un percorso di incubazione presso Speed Mi Up, l’incubatore dell’Università Bocconi, di Camera di Commercio di Milano e del Comune di Milano, oltre a possibili finanziamenti, per un valore massimo complessivo di 130.000 euro.

“Start to be Circular” si inserisce nell’ambito del Progetto Diventerò, un’iniziativa pluriennale di Fondazione Bracco per accompagnare i giovani di talento nel loro iter formativo e professionale, promuovendo percorsi innovativi di consolidamento del legame tra il mondo accademico e quello del lavoro.

Le domande possono essere presentate fino al giorno 3 novembre 2017 seguendo le istruzioni indicate nel bando.

Info e bando

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Progetto Diventerò: in 5 anni sostenuti 235 giovani di talento

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Giovani idee per dare all’Italia un futuro sostenibile

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Talenti Inauditi: il Work Design di PianoC e Cariplo Factory

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Napoli: un’altra finestra di opportunità per l’occupazione giovanile e femminile dopo Garanzia Giovani

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La Fondazione Agnelli compie 50 anni

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Work in Class: soluzioni innovative per la scuola
Notizie elargite a mero scopo d’informazione e sensibilizzazione sociale volontaria.

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Ragioni, obiettivi e prospettive.

La nostra sensibilizzazione si propone di ampliare e diffondere il dibattito studiando, approfondendo e raccontando dinamiche ed esperienze capaci di coniugare il ridimensionamento della spesa pubblica con la tutela dei nuovi rischi sociali, in particolare attraverso il coinvolgimento crescente di attori privati e del terzo settore.

Creare un laboratorio per realizzare numerosi eventi e convegni intorno ai temi del secondo welfare, oltre a una prima rassegna delle esperienze di secondo welfare presenti nel nostro Paese, offrire interpretazioni e valutazioni delle dinamiche più interessanti sviluppatesi negli ultimi anni intorno a questo fenomeno.

Il laboratorio dovrebbe essere supportato è dare supporto ad importanti partner isituzionali –  fondazioni, aziende, assicurazioni, sindacati e enti locali – appartenenti ad ambiti diversi ma egualmente interessati allo sviluppo del secondo welfare.

Sempre più spesso in Italia nascono e si sviluppano programmi di protezione e investimenti sociali a finanziamento non pubblico che si aggiungono ed intrecciano al welfare pubblico, integrandone le carenze in termini di copertura e tipologia di servizi. Queste esperienze di secondo welfare coinvolgono attori economici e sociali – quali imprese, sindacati, enti locali, organizzazioni del terzo settore – capaci di affiancarsi al primo welfare, di natura pubblica e obbligatoria, che negli ultimi anni si è trovato sempre più in difficoltà nel rispondere ai crescenti rischi e bisogni sociali dei cittadini.

Percorsi di secondo welfarevuole essere uno spazio di ricerca, raccolta e analisi di quelle buone pratiche che possano favorire il dibattito e la condivisione di quelle esperienze che, oggi più che mai, risultano cruciali al fine di conciliare con successo la necessità di un ridimensionamento della spesa pubblica con la tutela dei nuovi rischi sociali.

Tratto da Fonte:

Investiamo in cultura e rapporti sociali per ridurre il tasso della povertà si creerebbe benessere non solo per quelli in difficoltà ma anche alla società in generale.

Il ceto medio è una classe importante in grado di fare la differenza catturando consensi sugli infiniti e variegati interessi particolari.

 

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Sembra ci sia un progetto !! far sparire la classe media (o ceto medio) !……

 La classe media (o ceto medio), il fulcro di una società moderna e democratica –  continua a perdere terreno rispetto ai poveri e ai ricchi.

Il ceto medio scaturisce da un insieme di situazioni economiche che vanno da un reddito - operaio -  lavoratore dipendente – artigiani – commercianti – piccoli imprenditori – piccoli industriali – terziario – servizi – una forza sociale molto visibile e in grado di condizionare le scelte della vita amministrativa a tutti i livelli se si sapesse come coalizzarsi.

La classe media è quella che ha la maggiore coscienza politica e sociale. Ma se questa classe continua a ridursi diventa più conveniente parlare di politica dei ricchi. E ai poveri ?  La classe media dovrebbe essere infatti quella più prudente, che non si lascia sedurre da politiche estremiste, ad esempio quelle a carattere razziale o religioso.

La crisi economica degli ultimi anni ha avuto molti effetti visibili non solo per il tasso della disoccupazione ma specialmente per il numero di persone alla soglia della povertà.

Che cosa vuol dire essere poveri ?  Consiste in una famiglia di tre o più persone che spende oltre un terzo del reddito per il cibo e la restante parte in tasse e servizi vari imposti.

Essere poveri non vuol dire necessariamente che uno va a letto affamato, a volte questo può accadere !  il che ovviamente è un pugno nello stomaco per un Paese Democratico.

Ma non si tratta solo di qualcosa del quale c’è da vergognarsi ! Oltre alla questione morale c’è anche quella umana. La povertà riduce la produttività - Aumenta il tasso del crimine, causa un incremento delle spese sanitarie e riduce ovviamente le opportunità ai giovani – non esiste il ricambio generazionale.

Investiamo in cultura e rapporti sociali per ridurre il tasso della povertà si creerebbe benessere non solo per quelli in difficoltà ma anche alla società in generale.

Il ceto medio è una classe importante in grado di fare la differenza catturando consensi sugli infiniti e variegati interessi particolari.

 

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i pardossi della vita . . .

Un mendicante chiede l’elemosina all’angolo di una strada. È giusto dargli qualcosa? Se no, il pover’uomo morirà di fame, se sì, poiché tutti gli daranno qualcosa, diventerà ricchissimo, più ricco di chi gli ha fatto l’elemosina.

La soluzione dov’è ?  deve essere lo Stato che si prende cura del mendicante. 

Il singolo individuo deve impiegare le proprie forze per fare in modo che le leggi e le strutture dello Stato si occupino del mendicante.

Dargli una moneta e lasciare tutto come prima equivale al comportamento dell’individuo che di fronte a un’ingiustizia, anziché darsi da fare per cambiare, si fa giustizia da solo: la civiltà non è sicuramente progredita – siamo sempre nello stesso pantano ! 

Chi si occupa di solidarietà senza far nulla perché le cose cambino è sostanzialmente un giustiziere sociale: si può comprendere, ma è sbagliato l’atteggiamento.

Per affrontare il problema è necessario che si attui una Protezione sociale analoga alla Protezione civile. La Protezione Civile nasce con l’intento di gestire soluzioni calamitose di tipo naturale; la stessa determinazione dobbiamo averla per la calamità sociale, quella che coinvolge quelli che Davide chiama gli ultimi.

Singolare il fatto che tutti apprezzino una Protezione Civile funzionante, ma pochi pensino a una Protezione sociale. Chi per egoismo: “io ultimo non sono!”; a questi ricordiamo che se una persona vuole essere prima in modo equilibrato deve aver imparato a essere ultima.

Chi per rigidità morale: “chi è ultimo lo è anche per colpa sua!”; a questi ricordiamo che non devono considerare la poco concreta frase evangelica, ma sostituirla con la convinzione che bisogna insegnare agli ultimi che gli ultimi saranno beati solo se non si beano della loro condizione.

E’ utile cercare di capire come evitare che il mendicante arrivi a tanto e agire di conseguenza? Anche dopo la nostra elemosina, che qualità di vita si prospetta per il mendicante? La nostra elemosina non serve forse a “immobilizzare” la situazione? la qualità della vita si deve elevare non puntare alla semplice sopravvivenza;
una fiera delle vanità nel sociale, a fronte di risultati globalmente risibili hanno una visibilità mondiale, sostenuti di fatto da chi politicamente è allineato.

 

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problematiche del cambiamento

La maggior parte delle persone imita gli schemi mentali dei propri genitori ed il conseguente comportamento riguardo al denaro senza perfino rendersene conto. Altri si ribellano contro l’esempio parentale. Non sussiste soddisfazione in nessuno dei due comportamenti perché entrambi sono reattivi invece di essere scelti con consapevolezza. A prescindere dai dettagli, adottare uno scopo ereditato scelto inconsciamente porta con sé i seguenti svantaggi:

La motivazione è difficile - Le realizzazioni sono meno che soddisfacenti - Esiste una tendenza ad evitare o procrastinare le decisione e poi ad averne paura.

La Motivazione – Uno scopo scelto inconsciamente richiede che tu risponda in modo soddisfacente alla domanda “Perché preoccuparsi tanto?” nel processo in cui si manifesta qualsiasi risultato ne derivi. La paura tende ad essere il fattore di motivazione primario nelle azioni reattive piuttosto che nelle scelte consapevoli.

Senza uno scopo scelto in modo consapevole, perfino le realizzazioni significative sembrano essere il risultato di fortuna o di circostanze estranee al proprio controllo. Questo può causare imbarazzo riguardo alla realizzazione ed incertezza riguardo alla propria capacità di riprodurre il successo.

Ogni decisione comprende il rifiuto di alternative non scelte. Senza uno scopo scelto in modo consapevole, è difficile avere la certezza riguardo alle miriadi di scelte, come dove vivere, come spendere il proprio denaro, che lavoro fare, con chi associarsi e così via. Uno scopo scelto in modo consapevole rappresenta prendere la grande decisione della vita, cioè “Cosa sto facendo qui?“. Rispondere a questa domanda prepara il terreno per rispondere ad altre domande importanti, seppur minori, come la carriera, prendere decisioni, con chi associarsi ed altro.

Dichiarare il proprio vero scopo serve sia come motore che come volante per il proprio viaggio sull’autostrada della vita. Ora si è preso il potere di esprimere la propria passione più profonda in un modo utile. Fornisce energie per realizzazioni soddisfacenti così come direttive precise per prendere decisioni.

Il passo dall’espressione dello scopo ereditato ad uno scopo scelto in modo consapevole è probabilmente il cambiamento. Il cambiamento è per alcuni enormemente difficile, lo si affronta solo per dare sollievo ad una crisi dolorosa. Per quanto riguarda il denaro, uno scopo ereditato molto probabilmente ti spinge ad accettare il reddito che ti si offre per un lavoro che tolleri appena. Passare a guadagnare il reddito che preferisci proveniente da un lavoro che ti soddisfa può darsi che ti faccia credere che questo metta a rischio in modo significativo la tua sicurezza. Tali paure sono per lo più irrazionali. Con il proprio business esiste l’opportunità di creare il reddito che preferisci, piuttosto che accettare quello che ti viene offerto. In un lavoro dipendente si affida ad una sola fonte tutto il proprio reddito, mentre con un lavoro in proprio lo si affida ad un numero illimitato di fonti.

Oggettivamente, tale diversificazione di fonte riduce il rischio, ma la maggior parte delle persone non ha questa capacità di cambiamento emozionale. All’inizio si prova quasi sempre paura, perché ci stiamo avventurando nell’ignoto. Non esiste scelta riguardo al fatto che è spaventoso. La scelta è se tu permetti alla paura di fermarti. Nel momento in cui vai avanti con il cambiamento, è probabile che sperimenti un certo livello di rabbia o una emozione simile (risentimento, frustrazione o furia), che derivano da un inevitabile passo indietro.

Più ci si avvicina al completamento del cambiamento, più la paura può tornare: questa è paura che il cambiamento possa effettivamente realizzarsi. Una volta che il cambiamento è realizzato a pieno viene sempre accompagnato da un certo grado di tristezza o di rimpianto che risultano dal pensiero “Se solo avessi fatto questo cambiamento molto prima !

I sogni diventano magicamente veri nelle favole e nei film. Nella vita reale, di solito si richiede un’azione finalizzata ad un obbiettivo. La lotta (azione senza scopo) serve soltanto per mantenere la soppressione del sentirsi senza speranza. Il lottatore si dice: “Assolutamente non posso essere senza speranza, guarda quanto sono impegnato!” Invece, definire uno scopo nobile per la propria vita e determinare mete e progetti che esprimano questo, mentre al tempo stesso si identificano e si cambiano i pensieri e gli atteggiamenti che ti trattengono dal realizzare la pace della mente, l’auto-accettazione e le realizzazioni che desideri.

 Le capacità dinamiche sono competenze organizzative che consentono di adattarsi rapidamente ai processi di cambiamento.

Dovremmo disporre di capacità che consentono di affidare a un team di sviluppo nuove opportunità  –  non appena si presentano.

Da soli non ci si salva !!  

  con il buonsenso possiamo costruire le condizione per condivisione e meritocrazia.

                         accelerare l’innovazione e sviluppare Il buon senso

Cerchiamo volontari per costruire un pezzo di mondo migliore, una piccola Comunità impegnata ad inventare nuovi modi di pensare, abitare e vivere

Dalle visioni alle strategie, dalle strategie ai progetti.

Organizzazione – tel. mob. 347-4629179  e-mail : comitato@trazzeramarina

 

capacità d’intenti spalmiamoli ! ! !

Creare un rapporto tra ricerca scientifica-tecnologica e bioeconomia, creare le condizioni per realizzare unità d’intenti e sollecitare la capacità del territorio a fare sistema. Quindi offrire nuove opportunità di sviluppo economico per  l’intero territorio.

E’ impossibile parlare dell’intento, darne una definizione o comunque stabilirne la sostanza attraverso l’uso delle parole. Il perché è semplice: l’intento è pura azione, concepisce solo l’azione consapevole; il pensiero e il linguaggio non sono strumenti adatti. Il modo migliore per trasmettere la percezione dell’intento è per mezzo del movimento.

 La giusta sequenza liberatoria è: percepire l’intento come singola azione, espandere questa percezione all’intero stato della realtà, cogliere la corrispondenza tra azioni del mondo e disponibilità dell’intento (indicazioni), connettere tale corrispondenza con il proprio stato personale per mezzo di un’azione che comporti uno sforzo consapevole, infine agire nella linea dell’intento.

Agire nella linea dell’intento significa compiere le azioni mentre si sta intendendo nello stesso tempo del lato attivo. In quel momento la volontà dell’infinito si trasforma in “intento”.

Andare oltre, spingersi oltre usando l’area della volontà come centro di percezione, includiamo così ogni aspetto dell’azione.

Se ci riesci, anche solo per un istante, afferrati a quella percezione e ampliala spalmandola, allargandola, a tutto l’ambiente in cui ti trovi. Quindi, mantenendoti in sincronia con l’intento, compi un’azione (anche interiore) che richiede uno sforzo consapevole, qualcosa che spezzi la tua ordinarietà, i tuoi cicli interni-esterni di abitudini. Qualcosa che confermi te stesso, che confermi che ci sei nel mondo.

L’intento strategico è una sfida competitiva, un obiettivo a lungo termine molto ambizioso che trae origine dalle competenze chiave dell’impresa che il management cerca di estendere fino al limite, coinvolgendo e motivando tutti i livelli dell’organizzazione.

A volte le aree di eccellenza  rischiano di trasformarsi in trappole e in vincoli, rendendole rigide, chiuse e resistenti al cambiamento.

La cultura organizzativa odierna ad esempio premiare comportamenti consolidati e penalizza lo sviluppo di nuove competenze.

Le capacità dinamiche sono competenze organizzative che consentono di adattarsi rapidamente ai processi di cambiamento.

Dovremmo disporre di capacità che consentono di affidare a un team di sviluppo nuove opportunità  –  non appena si presentano.

Da soli non ci si salva !!  

  con il buonsenso possiamo costruire le condizione per condivisione e meritocrazia.

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