Prendere posizione non vuol dire parteggiare.

Prendere posizione non vuol dire parteggiare, ubbidire a degli ordini, opporre furore contro furore, vuol dire tender l’orecchio a tutte le voci che si levano dalla società in cui viviamo e non a quelle così seducenti che provengono dalla nostra pigrizia o dalla nostra paura, esaltate come virtù del distacco e dell’imperturbabilità, ascoltare i richiami dell’esperienza e non soltanto quelli che ci detta un esasperato amor di noi stessi, gabellato per illuminazione interiore. E soltanto dopo aver ascoltato e cercato di capire, assumere la propria parte di responsabilità.

Alcuni atteggiamenti contro cui la ragione umana ha sempre combattuto – e deve combattere ora più che mai – sono, da un lato, il non credere a nulla; dall’altro, la fede cieca.

  • Quando si mette in questione la cosiddetta assenza valutativa della scienza e si dice che la scienza è ideologica, si dice un’idiozia. La scienza come tale non è né capitalistica né comunistica, né feudale, né borghese. Ciò che può essere capitalistico o comunistico è l’uso della scienza. La scienza è neutrale; lo scienziato può anche non esserlo.
  • È chiaro che l’ideale della totale libertà non esiste in nessuna società. Insomma, ci sono maggiori e minori approssimazioni a questa idea della società libera.
  • La maggior parte degli uomini di oggi non sono tanto atei o non credenti, quanto increduli. Ma colui che è incredulo non è fuori dalla sfera della religione. Lo stato d’animo di chi non appartiene più alla sfera del religioso non è l’incredulità, ma l’indifferenza, il non saper che farsene di queste domande.
  •  Ma l’indifferenza è veramente la morte dell’uomo.

  • La democrazia è il più grande tentativo di organizzare una società per mezzo di procedure non violente !
  • Il compito degli uomini è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccoglier certezze.
  • La filosofia militante che abbiamo in mente è una filosofia in lotta contro gli attacchi, da qualsiasi parte provengano — tanto da quella dei tradizionalisti come da quella degli innovatori — alla libertà della ragione rischiaratrice.
  • Quello che importa, in questo frangente è di impegnarsi a illuminare con la ragione le posizioni in contrasto, a porre in discussione le pretese dell’una e dell’altra parte, di resistere alla tentazione della sintesi definitiva, o della opzione irreversibile, di restituire, insomma, agli uomini — l’un contro l’altro armati da ideologie in contrasto — la fiducia nel colloquio, di ristabilire insieme col diritto della critica il rispetto dell’altrui opinione intelligente e collaborativa.
  • SMALL TECHNIQUES: attività formative di breve durata che consistono in esercizi di gruppo caratterizzati da regole semplici e ben definite. Il coinvolgimento emotivo e l’utilizzo della metafora del “gioco” garantiscono un efficace e duraturo apprendimento.

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umiltà di ascoltare – capicità nel fare !

Avvertiamo ogni giorno di più il peso della crisi economia reale, lo sentiamo fuori e dentro casa, al lavoro e in famiglia. Cittadini che non rinunciano a scommettere su questo Paese, dobbiamo avere il dovere di diventare più esigenti con noi stessi e il diritto di essere governati da chi sa rispondere ai propri bisogni promuovendo e assecondando il cambiamento.

I giovani, il lavoro, l’economia reale. Questa è la sfida (vera) che il Paese ha davanti a sé e deve vincere assolutamente. C’è un filo che va riannodato in casa e in Europa per sciogliere le ansie e le paure dei nostri giorni. Bisogna tornare a mettere insieme la buona politica, uomini del fare, ceti produttivi e forze sociali, per ridefinire il perimetro dello Stato, eliminare la manomorta della burocrazia e collocare finalmente la manifattura, l’innovazione e la ricerca al centro della politica economica nazionale.

Si deve avvertire il peso politico dell’Italia, fuori da semplicismi, trasformismi e nuovi conformismi, perché si attui in fretta il disegno degli Stati Uniti d’Europa, si combattano gli eccessi della finanza speculativa e si affianchi al rigore (necessario) la mobilitazione delle risorse indispensabili per stimolare la crescita. Il Sole 24 Ore ha esaminato, punto per punto, i programmi di tutti i partiti su tutti i temi più spinosi, dalle tasse alla spesa pubblica, dal lavoro alla sanità, e così via, impegnandosi con un giudizio specifico (Rating 24) di efficacia e di realizzabilità. Abbiamo evitato di inseguire e offrire passerelle ai leader che hanno occupato ogni schermo e sito disponibili, sottraendosi a un confronto diretto e svicolando quasi sempre dai temi veri, ma ci siamo impegnati a dare il massimo delle informazioni utili per mettere il lettore nelle condizioni di fare una scelta con la (sua) testa e contribuire a rendere consapevole la più privata delle scelte pubbliche di un cittadino. Per vincere la paura e ripartire, ne siamo certi, il Paese si deve ricordare che cos’è e ha bisogno di una classe di governo che sappia riconoscere il suo capitale dimenticato e investa su di esso avendo l’umiltà di ascoltare e la capacità di fare.

Fonte :Roberto Napoletano – Il Sole 24 Ore – leggi su http://24o.it/li6ZC

Più che la malafede preoccupa l’ignoranza. Succede tante volte. E l’ignoranza, come le buone intenzioni, continua a lastricare il pavimento dell’inferno. Dei fenomeni sociali, così come delle tante situazioni che ci circondano e degli stessi fatti di cronaca, sappiano realmente poco. Ci si accontenta del salotto di Porta a porta o delle notizie scarne e superficiali, talvolta sensazionalistiche. Raramente si riesce a cogliere le profondità e a comprendere cosa si nasconde realmente nelle pieghe o nelle piaghe di certi comportamenti.

Fonte: MOSAICO di pace - Tonio Dell’Olio

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La “buona” scuola “amministrazione e gestione condivisa dei beni comuni”

 La ministra Giannini e la legge sulla Buona Scuola (come la chiamano tutti). In un suo appassionato discorso al Senato, ancor prima che la legge venisse varata, dedicò ampio spazio al nostro tema: “Ci serve una scuola aperta – disse – per rispondere alle esigenze degli studenti e contrastare la dispersione scolastica. Bisogna lasciare le porte aperte oltre l’orario delle lezioni (…) e apertura vuol dire tante cose, anche che siano aperte al territorio nel quale sono inserite con iniziative e attività rivolte non solo agli alunni ma anche alla cittadinanza”. Poche frasi bastarono per abilitare una trasformazione già in atto, di cui anche l’Anci – da sempre attenta ai cambiamenti che nascono sul territorio – aveva pienamente preso contezza: la scuola come vero e proprio polo civico di zona. Per alcuni quartieri e piccoli paesi l’unica forte presenza dello Stato nel territorio, la sola dove si trovano le bandiere del Comune, dell’Italia e dell’Europa.

Il progetto Scuole aperte a Milano

La prima grande amministrazione locale a fare della scuola aperta un obiettivo è stata quella di Milano, che ha aperto un Ufficio ad hoc coordinato da Giovanni del Bene sotto l’Assessorato al Benessere, Tempo Libero e Qualità della Vita. A quell’ufficio si deve anche il primo Vademecum su come costruire una Scuola Aperta (qui proprio come progetto promosso dal Miur in collaborazione con Anci e Vita), un vero e proprio abbecedario su perché, come e chi fa cosa, con tanto di informazioni utili su operazioni di fundraising e controllo finanziario. Insomma, un bel successo. Altre amministrazioni avrebbero probabilmente seguito l’esempio e nuove forme di cittadinanza attiva consapevole e volenterosa avrebbero stretto alleanze potenzialmente fruttuose per l’intera comunità e a beneficio di un’amministrazione condivisa. Poi qualcosa è cambiato.

Scuole al centro e i progetti del Miur

Intanto grazie a un primo stanziamento di 10 milioni di euro il Miur un anno fa ha avviato il progetto “Scuole al Centro”. Con parole molto simili a quelle usate per le Scuole Aperte, la ministra Giannini spiegò che l’operazione era figlia di una visione: quella di una scuola che si vuole aprire agli studenti e alle loro famiglie per essere abitata dai ragazzi e dai genitori oltre i tempi canonici della didattica: il pomeriggio, il sabato, nei giorni di vacanza, a luglio come a settembre. Come misura di contrasto alla dispersione, ma anche come risposta tempestiva e concreta ai fenomeni di disagio sociale che caratterizzano alcune aree del Paese. L’obiettivo? Una scuola che appartenga a tutta la comunità, dove famiglie e studenti possano sentirsi come in una seconda casa, da frequentare non solo quando ci sono le lezioni, ma anche in orario extra scolastico. 400 scuole e 4 città le prime destinatarie dei fondi, un vero successo. Ora il progetto è diventato nazionale (anche se il titolo del bando non è più “Scuole al centro” ma “Bando per progetti di inclusione sociale e lotta al disagio nonché per garantire l’apertura delle scuole oltre l’orario scolastico soprattutto nella aree a rischio e in quelle periferiche”, i milioni Pon stanziati ben 240 e siamo in attesa di conoscere dal Miur il numero di scuole che se li saranno aggiudicati. Ma i fondi Pon non si esauriscono qui e la ministra Fedeli ha provveduto a emanare una serie di bandi importanti per le scuole su svariati temi.

Che ci azzecca la Scuola Aperta con tutto questo? Ora lo spieghiamo: ognuno dei bandi prevede la possibilità che un’associazione dei genitori (così come altre del territorio) vi possano partecipare. Ovviamente capolista della cordata del bando è la scuola stessa. L’intento è ottimo: suscitare un dialogo e sviluppare una progettualità attiva fra i diversi attori del territorio. È un modo per conoscersi e trovarsi reciprocamente utili, una maniera “smart” di sviluppare sinergie inedite capaci di attrarre finanziamenti. Con un piccolo limite: mette nuovamente i genitori e gli studenti in una posizione di sudditanza rispetto al governo centrale scolastico (o partecipi o sei fuori) e non sviluppa appieno le competenze necessarie a un vero progetto di amministrazione condivisa. Il giorno che i fondi Pon saranno esauriti (l’impegno della Ue al riguardo è fino al 2020), tutto il lavoro sviluppato in questi anni prima della loro immissione, potrebbe dover ricominciare quasi daccapo.

Una scuola aperta e condivisa anche nella gestione

E qui ci affacciamo a un’altra finestra strettamente collegata al tema della Scuola Aperta. Di più: naturale evoluzione di quest’ultima. Quella di una scuola capace di allargare le sue frontiere canoniche di gestione (professori e presidi in primis, poi il personale addetto, poi – davvero quasi per ultimi, incredibile, gli studenti) e capace di avviare un processo decisionale inclusivo e in grado di coinvolgere anche i genitori e il territorio. In termini tecnici stiamo parlando di “shared leadership”, sempre più vista come un’alternativa alle forme più tradizionali di governo scolastico dove un piccolo team esercita l’autorità e prende la maggior parte delle decisioni senza avvertire la necessità di sollecitare un consiglio, dei feedback o la partecipazione degli altri soggetti che la vivono, comunità territoriale compresa. L’assenza di una visione a medio termine fa sì che le nostre scuole si stiano organizzando al riguardo in maniera scomposta, lasciando di fatto alla capacità di pochi pionieri la possibilità di sondare e realizzare progetti di scuola aperta, dove sia la consapevolezza (e non solo il bisogno di soldi) a motivare la scelta di un percorso piuttosto che di un altro. La dimostrazione dello stato dell’arte è il grande Report che l’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico-finanziario dei 35 maggiori Paesi dell’Occidente democratico) sta sviluppando al riguardo: si chiama “Improving School Leadership”e vi partecipano 21 Paesi: l’Italia non è fra questi.

Vittime come siamo di uno scollamento epocale fra fruitori (studenti, genitori, territorio) ed agenti (dirigenti scolastici, professori e personale Ata), che vede il rapporto fra i due mediato solo dallo Stato, e quest’ultimo sbilanciato a tutelare – complici anche i sindacati – più il personale che le persone, assistiamo sbigottiti a innovazioni sul campo figlie di amministrazioni locali illuminate, presidi disponibili e professori volenterosi, che lavorano h24 per cercare di dare qualche forma alle potenzialità che la Scuola Aperta esprime. Con la legge 107/15, l’allora ministra Giannini tentò di dare una forma diversa alla leadership scolastica. Ma a distanza di poco più di un anno uno strano destino ha colpito i presidi: dovevano diventare super ma oggi arrancano parecchio. Messi fuori dal ruolo unico dei dirigenti della pubblica amministrazione, per loro c’è la riserva indiana dell’area quinta del contratto dei dirigenti pubblici in cui contano meno di tutti nonostante la pletora incomparabile di responsabilità.

Le sfide future

Vivendo quotidianamente a stretto contatto con le realtà scolastiche capitoline (e non solo), non possiamo che sottolineare quanto sia miope questa continua erosione del ruolo del preside e come non esista scuola che funzioni bene senza la presenza di un dirigente in gamba (e quanto spesso siano in sofferenza quelle che sono in regime di reggenza). Non possono che essere loro il trait d’union fra mondo scolastico e società civile, non può che passare da loro (e dalle amministrazioni locali) la riuscita di una scuola aperta e condivisa capace di aprirsi agli studenti, ai genitori e al territorio facendo rispettare la vocazione scolastica dell’istituto pur trasformandola in polo civico
Si vive di bandi in quest’epoca, non c’è dubbio. Ma la visione sul dove si vuole andare deve essere chiara. Oggi le scuole si trovano ad affrontare grandi sfide e aspettative crescenti in questi anni caratterizzati da innovazione tecnologica, migrazione e globalizzazione. La maggior parte dei Paesi occidentali mira a trasformare o adeguare i propri sistemi educativi per fornire ai giovani le conoscenze e le competenze necessarie ad affrontare un mondo che cambia velocemente, tentando al contempo di tutelarli. Ma qualsiasi sia la strada immaginata, un obiettivo è sempre al centro: quello di sviluppare in loro la prima delle qualità necessarie alla crescita di una società: l’essere cittadini. Non c’è dubbio che il tema della cura dei beni comuni e della Scuola Aperta e Condivisa vada in questa direzione.

Fonte : Labsus

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Populismo ! ! . . . . . . . .

Populismo, un termine che fa specie a molte persone, per il significato peggiorativo che il termine populismo ha nel senso comune, è una strategia che negli ultimi anni ha ricevuto il sostegno di molti politici che lo usano in senso dispregiativo sinonimo di depropaganda lusingatrice delle aspirazioni economiche e sociali delle masse, allo scopo di mantenere o conquistare il potere . Si tratta pure della strategia che ha portato a successi inaspettati di nuove formazioni di sinistra destra centro e così via, emerse negli ultimi anni che si sono spesso appellati al popolo e hanno attaccato ferocemente il potere politico ed economico. Il populismo, una politica che unisca il popolo attorno a obiettivi progressisti, piuttosto che attorno a una politica dell’odio, si sta dunque dimostrando come l’unica ricetta efficace per rispondere al populismo sia il diffondere odio.

Fare una politica populista creare quello spazio che ci siamo fatti rubare. Significa smettere di vedere le classi popolari come il nemico, a causa dell’ignoranza e arretratezza culturale formativa della nostra società, ricordiamoci che l’azione politica deve andare di pari passo con un’azione pedagogica e culturalefacendo squadra -

Significa pure smettere di “fare diga contro il populismo”, in fin dei conti ci usano come “scudi umani” per un sistema neoliberista falso su tutti i livelli.

Dobbiamo individuare, il modo migliore di affrontare le nuove sfide che presenta la globalizzazione, e la necessità di fare rete per favorire lo scambio di conoscenze ed esperienze ed incrementare le reciproche competenze.

Spetta ai movimentiassociazioni – comitati - etc. riempire il vuoto politico aperto dalla crisi economica – solo se sapremo recuperare la connessione a livello cittadino collaborativo – solo se sapremo parlare tra di noi - confrontarci con tutte quelle persone che in questo momento si sentono dimenticate e abbandonate, potremo evitare l’insediamento di un grande neoliberismo che passi il testimone a un nuovo autoritarismo.

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Proviamo a costruire un team: motivazione e collaborazione

Modalità più diffusa per l’attuazione di un progetto è il lavoro di squadra: il team. Il gruppo condivide uno scopo, ha un obiettivo in comune, lavora in stretta collaborazione e condivide i vantaggi dei successi.

Il team funziona quando obiettivi e metodi sono chiari e condivisi e quando tutto il gruppo sa gestire il tempo, definire e rispettare ruoli, procedure e regole. Il merito di una gestione efficace però dipende sia dalla capacità di avere una leadership efficace, sia dalla capacità di ampliare e rendere più flessibile il proprio stile di gestione del personale.

Cerchiamo persone con competenze che garantiscono l’efficacia dell’interazione col gruppo di lavoro, oppure come «il processo volto ad influenzare le attività di un individuo o di un gruppo che si impegna per il conseguimento di obiettivi in una determinata situazione.

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una generazione di disfattisti – però ! ! …. onniscenti ! . . . . . .

Il disfattismo è un atteggiamento che si manifesta attraverso l’accettazione della imposizione senza confronto ne contrapposizione. Nell’uso quotidiano, il termine disfattismo ha una connotazione negativa, ed è spesso collegato al pessimismo, o anche a una situazione disperata.

Il termine può essere comunemente usato nel contesto attuale: un qualsiasi componente della società civile è un disfattista chi rifiuta il confronto perché pensa che lo scontro sarà sicuramente perso o che per qualche altro motivo, legato dalla tattica, non valga la pena di combatterlo. Sempre con riferimento il termine viene usato per riferirsi alla visione secondo cui la sconfitta sarebbe migliore della vittoria – nemmeno la voglia a di provarci !!

Vorremmo che il riconoscimento più diffuso sarebbe la comprensione (meno diffusa) questa si trasforma immediatamente in una diversa maniera di rapportarsi a se stessi e agli altri meno basata su giudizi e pregiudizi.
La libertà di essere se stessi non è sufficiente per capire intellettualmente la portata degli effetti limitanti e distruttivi del confronto, ma come sia assolutamente necessaria una pratica costante di attenzione nella vita di ogni giorno.

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Occupiamoci del sociale per migliorare “diventiamo agenti”

Si definiscono agenti di socializzazione i contesti sociali all’interno dei quali avvengono significativi processi di socializzazione. Nella società contemporanea questi sembrano essere soprattutto la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari, i mezzi di comunicazione di massa.

Certamente il sistema familiare può assumere forme diverse, il complesso dei contatti sperimentati del bambino non è affatto omogeneo da cultura a cultura. La madre è in genere la persona più importante nella prima infanzia, anche se la divisione dei ruoli all’interno della famiglia varia notevolmente nelle diverse culture, ma la natura del rapporto tra madre e bambino dipende dalla forma e dalla regolarità dei loro contatti. Ciò è a sua volta condizionata dal carattere dell’istituzione familiare e dal rapporto che quest’ultima ha con le istituzioni scolastiche e con altri gruppi sociali.

Nelle società contemporanee, gran parte della socializzazione precoce avviene all’interno di un contesto familiare ristretto e dalla scolarizzazione. La maggioranza dei bambini trascorre oggi i primi anni di vita in un’unità domestica composta da madre, padre e forse uno o due altri figli e la scolarizzazione prima infanzia, anche zie, zii e nipoti sono spesso parte di una medesima unità familiare essi contribuiscono allo svezzamento dei bambini. I bambini possono essere cresciuti da un solo genitore, oppure affidati a due soggetti che svolgono la funzione di madre e due che assumono quella di padre (i genitori divorziati e i loro nuovi partner).

Al di là delle differenti tipologie, le famiglie rimangono comunque agenti di socializzazione fondamentale a partire dalla prima infanzia fino almeno all’adolescenza, fungendo anche da essenziale forma di collegamento tra loro e le varie generazioni. Sarebbe però sbagliato pensare al processo di socializzazione familiare come a un processo unilaterale. Il bambino, e persino il neonato, reagiscono a questo processo, vi partecipano e vi collaborano in vario grado. La socializzazione è sempre, in vario grado, un processo reciproco, nel senso che coinvolge non solo il socializzato ma anche il socializzante. Di norma i genitori riescono a educare, più o meno compiutamente, i loro figli secondo i modelli generali stabiliti dalla società e da essi stessi desiderati. Ma anche i genitori vengono trasformati, talvolta radicalmente, dall’esperienza della maternità e della paternità, le quali si configurano per loro come processi di socializzazione a nuovi ruoli.

Le famiglie hanno una propria diversa collocazione all’interno delle istituzioni sociali più ampie. Nella maggior parte delle società tradizionali, l’appartenenza familiare determina in buona misura la posizione sociale dell’individuo per tutto l’arco della vita. Nelle odierne società occidentali, invece, la posizione sociale non è ereditata dalla nascita. Tuttavia la classe sociale di appartenenza della famiglia influisce profondamente sui modelli di socializzazione, in quanto influisce sui modelli di educazione e disciplina, sui valori e le aspettative. È facile notare l’influenza dei diversi tipi di retroterra familiare se pensiamo, per esempio, alla vita di un bambino appartenente a una famiglia, che abita in un fatiscente sobborgo urbano, in confronto a quella di un bambino nato in una famiglia residente in un quartiere di professionisti benestanti.

Nelle attuali società occidentali pochi bambini ovviamente adottano senza riserve il punto di vista dei genitori. L’esistenza stessa di diversi agenti di socializzazione porta a molte divergenze tra il punto di vista dei bambini e degli adolescenti e quello della generazione a cui appartengono i genitori.

Alla scuola le moderna società occidentale ha assegnato il compito istituzionale di socializzare.

Gli addestrandoli all’apprendimento di particolari abilità e alla condivisione di un universo di valori. La scolarizzazione è un processo formale, che prevede un preciso curriculum di studi, con lo svolgimento di determinati programmi. Ma la scuola è agente di socializzazione anche in modo più sottile. Accanto al curriculum formale, a condizionare l’apprendimento esiste quello che alcuni sociologi hanno chiamato “curriculum occulto”, implicito nei contenuti dell’attività scolastica e familiare.

Ci si aspetta che i bambini imparino a essere quieti in classe, puntuali alle lezioni, che osservino le norme della disciplina scolastica. Essi sono chiamati ad accettare e a rispondere all’autorità degli insegnanti. Le reazioni degli insegnanti, inoltre, influiscono sulle aspettative che i bambini hanno nei confronti di se stessi, condizionandoli ad autovalutarsi con gli stessi criteri applicati dagli insegnanti. Fuori dall’ambito familiare i bambini imparano a obbedire a qualcuno non per l’amore o la protezione che questi gli offre, bensì perché così è richiesto da un sistema sociale che impone l’adesione alle sue regole. Il comportamento personale entra in tal modo a far parte di un sistema di registrazione sociale che consente al bambino di diminuire la sua dipendenza dai modelli familiari e di costruire legami entro un più ampio orizzonte sociale. È per lo più nell’esperienza scolastica che si costruiscono i gruppi di pari, che sono a loro volta importanti agenzie di socializzazione.

Un altro agente di socializzazione è il gruppo dei pari. Si tratta di un gruppo di soggetti della stessa età che condividono un rapporto di amicizia. In alcune culture, e particolarmente nelle società tradizionali di piccole dimensioni, i gruppi dei pari sono formalizzati nei gradi di età. Ciascuna generazione ha certi diritti e responsabilità e spesso cerimonie e riti segnano il passaggio di un individuo da un grado di età all’altro. In particolare, nella nostra società il passaggio dall’infanzia all’età adulta avviene nel momento della pubertà, molto delicato è dovrebbe essere attenzionato a livello familiare e scolastico con i dovuti criteri.

Nella moderna società  in genere i gruppi di pari non sono rigidamente organizzati per gruppi di età associati allo svolgimento di particolari funzioni; ciononostante, anche in tali società il gruppo dei pari è un importante agente di socializzazione, che esercita una particolare influenza nella tarda infanzia e nell’adolescenza. Si tratta di fasi in cui gli individui conquistano un’identità relativamente stabile, spesso attraverso una reazione negativa nei confronti dei modelli appresi in famiglia e nella scuola. Il gruppo dei pari risulta allora importante in quanto propone nuove norme e valori, all’interno di una dinamica interattiva tra eguali. In tale dinamica la socializzazione si svolge al di fuori di ogni disegno preordinato: i bambini e i ragazzi possono scegliere gli amici e dialogare con loro su argomenti per lo più intrattabili in famiglia e a scuola, staccandosi così dall’influenza di questi due ambiti.

Questi rapporti sono più democratici di quelli tra genitori e figli. Il termine “pari” indica soggetti “eguali” e i rapporti di amicizia tra bambini tendono a essere ragionevolmente egualitari. Essendo fondati sul mutuo consenso, piuttosto che sulla dipendenza, com’è tipico della situazione familiare, i rapporti tra pari prevedono un intenso scambio di dare e avere, in un contesto di interazione all’interno del quale le regole di condotta possono essere messe alla prova ed esplorate. I rapporti tra pari rimangono spesso importanti per tutta la vita. Nel lavoro e in altri contesti i gruppi informali di persone della stessa età rivestono di solito un’importanza durevole nella formazione delle opinioni e del comportamento individuale.

Oltre alla famiglia, alla scuola, al gruppo dei pari, ai mass-media, esistono tanti altri agenti di socializzazione quanti sono i gruppi, o contesti sociali, in cui l’individuo trascorre una parte significativa della propria vita: gruppi religiosi, organizzazioni giovanili, Comitati di quartiere, associazioni di vario tipo, partiti politici ecc. Ognuno di questi agenti può proporre valori e modelli di comportamento diversi e spesso in conflitto reciproco. Anche l’ambiente lavorativo è certamente un ambito in cui si svolgono processi di socializzazione, sebbene soltanto nelle società industriali avvenga che grandi quantità di persone “vadano a lavorare”, che raggiungano cioè ogni giorno luoghi di lavoro completamente separati dalle abitazioni. Nei paesi industrializzati, il fatto di “andare a lavorare” per la prima volta segna generalmente nella vita di un individuo un passaggio molto significativo. L’ambiente lavorativo pone spesso problemi prima sconosciuti e può richiedere notevoli modificazioni del modo di pensare e del comportamento di ogni persona, per questi motivi si deve modulare e prendere in mano la gestione dei processi e dei contesti di apprendimento.

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RISPETTIAMOCI E LITIGHIAMO… CON MODERAZIONE ! senza odio nè divisioni . . . . .

Uno dei segreti per rendere longevo e stabile un rapporto di amicizia o amore, é il litigio controllato e la contrapposizione creativa che non devono mai mancare. Dosarli nella giusta misura, diluendoli ad intervalli costanti nel tempo, rafforza la complicità e nutre il reciproco bisogno.

Questi atteggiamenti critici, inoltre, responsabilizzano e maturano e rendono coscienza della realtà e delle sue fisiologiche difficoltà. Nessun individuo al mondo può accettare supinamente e di buon grado l’intrusione di un soggetto esterno nella propria sfera esistenziale e nell’inconscio privato, senza un accalorato chiarimento !

E’ una reazione che appartiene allo spirito di auto-conservazione degli individui, che sentono minacciata, a livello inconscio, la propria unicità, e violate le ragioni dei loro segreti e misteri più profondi.

Essere mediocri, spiega Deneault, non vuol dire essere incompetenti. Anzi, è vero il contrario. Il sistema incoraggia l’ascesa di individui mediamente competenti a discapito dei supercompetenti e degli incompetenti. Questi ultimi per ovvi motivi (sono inefficienti), i primi perché rischiano di mettere in discussione il sistema e le sue convenzioni. Ma comunque, il mediocre deve essere un esperto. Deve avere una competenza utile ma che non rimetta in discussione i fondamenti ideologici del sistema. Lo spirito critico deve essere limitato e ristretto all’interno di specifici confini perché se così non fosse potrebbe rappresentare un pericolo. Il mediocre, insomma, spiega il filosofo canadese, deve «giocare il gioco».

Ma cosa significa? Giocare il gioco vuol dire accettare i comportamenti informali, piccoli compromessi che servono a raggiungere obiettivi di breve termine, significa sottomettersi a regole sottaciute, spesso chiudendo gli occhi. Giocare il gioco, racconta Deneault, vuol dire acconsentire a non citare un determinato nome in un rapporto, a essere generici su uno specifico aspetto, a non menzionarne altri. Si tratta, in definitiva, di attuare dei comportamenti che non sono obbligatori ma che marcano un rapporto di lealtà verso qualcuno o verso una rete o una specifica cordata.
È in questo modo che si saldano le relazioni informali, che si fornisce la prova di essere “affidabili”, di collocarsi sempre su quella linea mediana che non genera rischi destabilizzanti. «Piegarsi in maniera ossequiosa a delle regole stabilite al solo fine di un posizionamento sullo scacchiere sociale» è l’obiettivo del mediocre.

I soggetti che hanno piena consapevolezza di questo meccanismo indotto, automatico e necessario, adducono al litigio quando sé ne parla, la sua salutare funzione, sdrammatizzando dovrebbe essere messa da parte, così da lasciare posto alla meritocrazia, ponendo fine ad ogni possibile degenerazione. Iniziamo a creare ed essere orgogliosi di appartenere a quella sempre più rara categoria di persone meritocratiche libere, non asservite all’orgoglio e all’infantile amor proprio. Sapere non odiare e ridere di se stessi, senza per questo, trasformare un contraddittorio in una disputa, fra sconfitti e vincitori.

Dunqueuna società felice è composta da soggetti consapevoli, che guardano al contrasto positivo come ad un valore aggiunto. E anche quando il tempo e la saggezza, hanno arrotondato ogni spigolatura caratteriale, trovano sempre il modo e il tempo giusto per accendere un sano e liberatorio diverbio per cambiare.

Il litigio, in sostanza, ha la stessa funzione del sale. Un conservante naturale che deve lasciare il rapporto integro insaporendolo. Tenendo presente che con il dialogo si può cambiare atteggiamento.

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Cerchiamo volontari per costruire un pezzo di mondo migliore, una piccola Comunità impegnata ad inventare nuovi modi di pensare, abitare e vivere

Dalle visioni alle strategie, dalle strategie ai progetti.
Organizzazione – tel. mob. 347-4629179  e-mail : comitato@trazzeramarina

Pianificazione e riuso urbano

Vorremmo effettuare un focus con dei professionisti  locali per affrontare il problema del piano urbanistico locale dopo un’ampia panoramica sul suo significato e sulle conoscenze necessarie per affrontare le varie analisi del territorio dal punto di vista funzionale di chi ci abita e lavora. Il Comitato vuole operare avvalendosi del supporto tecnico delle aree competenti per affrontare una proposta progetto del piano dal punto di vista funzionale - significa solamente ottimizzare l’allocazione delle varie superfici da destinare alle varie attività urbane. Durante il focus, il tema dell’ottimizzazione funzionale del piano sarà affrontato cercando di sintetizzare e organizzare i concetti fondamentali, in modo da dare più indicazioni possibili per la costruzione di un sistema territoriale urbano e descrivendo concetti che possono costituire i parametri sufficienti per il governo della città.     Obiettivi del comune cittadino. L’obiettivo principale è chiarezza con tutti i tecnici per capire il senso profondo dell’urbanistica. Il focus è aperto sia a chi lo strumento urbanistico lo richiede – lo progetta -  è chi deve subirlo.  Questo focus  vuole consentire al cittadino di affrontare l’argomento con quotidianità è con maggiore consapevolezza e competenza. Vorremmo naturalmente essere supportati  da professionisti che hanno una formazione urbanistica, il focus può rappresentare un interessante stimolo culturale al dibattito sullo stato della pianificazione in comunale.        A chi si rivolge il focus –  è destinato a:

  • tecnici che abbiano a che fare con lo strumento urbanistico del comune e cittadini che vogliano interagire con questo in modo competente e consapevole;
  • chiunque voglia approfondire argomentazioni sulla progettazione e lo sviluppo di piani urbanistici;
  • miglioramento della qualita’ del decoro urbano e del tessuto sociale  ed  ambientale, anche mediante interventi  di acquisizione per riuso urbano, con particolare riferimento allo sviluppo dei servizi - sociali -  educativi e alla  promozione delle attivita’ turisticoproduttive - culturali - didattiche e sportive;
  • eventuali progetti da inserire nel Piano potrebbero essere selezionati  sulla base dell’istruttoria svolta dai Comitato in coerenza con le esigenze della comunità locale.

Da soli non ci si salva !!  

  con il buonsenso possiamo costruire le condizione per condivisione e meritocrazia.

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Aderire per iniziare il cambiamento

Il Comitato spontaneo Trazzera Marina è collettivo di interessi e sensibilizzazione sociale, democratico, aperto, sensibile a ogni autentica istanza di rinnovamento culturale, sociale, economico e politico. Si propone di vigilare affinché i contenuti del proprio blog non presentino derive violente, nel massimo rispetto della persona e dell’alterità, in un’accoglienza della diversità che non degeneri mai in complicità, acquiescenza o qualunquismo. Con questi criteri, aspiriamo a essere una presenza efficace nel panorama culturale sociale dei Nebrodi e possibilmente uno strumento di cambiamento e di trasformazione delle strutture di potere, spesso ingiuste e indegne dei valori umani in cui la persona si riconosce in ogni spazio e in ogni tempo, al di là di fedi, credenze e tessere politiche.

Partecipate per Partire dall’azione

Creare un laboratorio, con metodi coinvolgenti dove il soggetto agisce, è attivo. L’essere attivo si può esplicitare in molti modi e ai due estremi ritroviamo due tipologie: l’attività riproduttiva e quella produttiva -

 E’ attivo il soggetto che copia e migliora la copia, che ripercorre la procedura scelta, che riproduce ciò che ha scelto ; è attivo il soggetto che inventa, che ipotizza nuove strategie risolutive, che produce qualcosa ex novo - concretezza - operatività - essenzialità – sviluppare un piano qualitativo per contributi, da avanzare - stimolare la partecipazione di soggetti che non sarebbe possibile coinvolgere in altri modi e generare cosi nuove idee e proposte

A consultazione conclusa - se l’articolazione del processo lo consente e la complessità del tema lo richiede, può essere combinato con altri strumenti (ad esempio forum online) per approfondire argomenti scelte e fattibilità

Andremo a fare squadra con i soggetti in possesso di omogeneità tali da garantire un adeguato interessamento a livello sociale e comunicativo per centrare gli obbiettivi che ci proponiamo.

Da soli non ci si salva !!  

  con il buonsenso possiamo costruire le condizione per condivisione e meritocrazia.

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